Giovani, il lavoro che non c’è

Lo spazio di lavoro per i giovani sembra continuare a contrarsi. Ancora una volta le rilevazioni trimestrali Istat mostrano che la crescita del tasso di disoccupazione giovanile in Italia ha raggiunto quota 31,1% nel 2011. In uno scenario critico dove la disoccupazione complessiva è arrivata al 9,2%, si evidenzia una forte sofferenza del nostro sistema produttivo. Risuonano voci ovunque che chiedono misure per la crescita, nell’Unione europea, in Italia. Però, alla fine, sembrano un po’ affannate e, soprattutto, più attente agli “spread” e agli indici dei listini borsistici che alle prospettive di nuovo lavoro. Anzi sembra quasi che nuovi occupati siano importanti soprattutto per garantire e incentivare la crescita della domanda di consumo. Sono i dati che mostrano l’inefficacia delle attuali politiche economiche.Per intraprendere strade percorribili verso un’occupazione giovanile ci vogliono idee nuove. Non si può pretendere che i giovani possano inserirsi in un mercato del lavoro dove nemmeno gli adulti riescono a mantenere la loro quota di presenza. Tuttavia, uno spazio va creato. C’è bisogno di una svolta culturale per uscire dalla palude nella quale siamo finiti. Non è più sufficiente predicare creazione di nuovo lavoro senza rinnovare la logica che governa la produzione. Non si può chiedere a un imprenditore di assumere, se non vende.Il percorso forse sarà lungo. Dobbiamo comprendere che la società del consumo ha raggiunto il suo limite. Si rende sempre più attuale il richiamo di Benedetto XVI nella “Caritas in Veritate” dove richiede “una nuova e approfondita riflessione sul senso dell’economia e dei suoi fini, nonché una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni. Lo esige lo stato di salute ecologica del pianeta; soprattutto lo richiede la crisi culturale e morale dell’uomo, i cui sintomi da tempo sono evidenti in ogni parte del mondo”.Non siamo più in grado di assorbire i bisogni indotti, e spesso surreali. Gli italiani non hanno più la stessa disponibilità economica, tant’è che anche i nostri consumi si stanno riducendo. Non si può più chiedere al mondo di produrre per fare utile, ma per essere utile. Alcune esperienze stanno emergendo. S’intravedono proprio nell’esperienza di alcuni giovani, che investono in nuove forme lavorative che vanno dalla cura degli altri alle nuove forme di agricoltura biologica che si strutturano legandosi a gruppi di acquisto solidali formati da famiglie. Le esperienze sono diverse però si potrebbe sottolineare che funzionano quando quei ragazzi sono riusciti a individuare i loro talenti e se questi hanno investito e trovato una rete familiare e comunitaria che li sostiene.Vedere i giovani al lavoro potrebbe essere istruttivo per investire su un nuovo scenario per il nostro futuro.

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