Federalismo, è l’Italia dei Comuni?

trasferimenti monetari che non si sa bene dove debbano essere registrati contabilmente. Sono gli effetti del federalismo. Non è solo un problema formale, visto che teoricamente un’amministrazione comunale dovrebbe sapere nel mese di marzo su quali dotazioni può contare per erogare servizi ai cittadini nello stesso anno (un tempo si chiamava programmazione!). Da oltre vent’anni assistiamo a un declino della dimensione locale determinato dal calo di risorse a disposizione dei sindaci. Le domande dei cittadini sono crescenti, visti i tempi di crisi e i tagli della manovra finanziaria che gravano in larga misura proprio sulle municipalità. A fronte di questa realtà avanzano i decreti che dovrebbero attuare il federalismo fiscale con attribuzione ai Comuni di poteri impositivi sull’edilizia poco chiari e comunque in tempi poco chiari. I Comuni dovrebbero già ricevere nel 2011 l’importo della cosiddetta “cedolare secca” (è il pagamento in dichiarazione dei redditi di un’imposta che sostituisce Irpef e addizionali varie per i proprietari di immobili che affittano a terzi) della quale ancora non si sa nulla. Il «patto di stabilità» peraltro continua a costringere le amministrazioni virtuose, quelle che avevano risparmiato negli ultimi anni per investire nei prossimi, a pagare duramente il proprio impegno virtuoso. Molti Comuni versano oggi in grave difficoltà, non pagano addirittura i fornitori e quindi faranno sicuramente ricorso a nuove tasse se sarà concessa loro questa possibilità. Siamo tutti d’accordo che il bello del federalismo sta nella responsabilizzazione delle classi politiche locali che, a fronte delle competenze che il centro trasferisce loro, potranno avere autonomia d’imposizione fiscale sui cittadini, ma non si sta verificando nulla per andare in quella direzione. A complicare il quadro c’è sicuramente il pasticcio fatto sull’Ici, che dal 2014 si vorrebbe sostituire con l’Imu (Imposta municipale unica). In tutti i Paesi occidentali gli enti locali si finanziano in primo luogo con la tassa sulla casa. Da noi prima il governo Prodi e poi l’esecutivo presieduto da Silvio Berlusconi hanno abolito a pezzi l’Ici, togliendo quel principio tanto caro e sbandierato anche alla Settimana Sociale di Reggio Calabria, per il quale si dovrebbe attivare il controllo democratico del cittadino: “Pago, vedo, voto”. La nuova imposta ricadrà in prevalenza su cittadini non residenti e quindi questo principio salta completamente nella riforma. Altra cosa grave è che mancano ancora i numeri dei costi standard dei servizi. Il lavoro è stato commissionato alla società del ministero dell’Economia specializzata negli studi di settore, che ovviamente non sa nulla in materia di enti locali e standard dei servizi pubblici. Basta aprire il primo questionario sulla polizia locale per capire che la determinazione del fabbisogno (la parola costo ad un certo punto del dibattito dava fastidio) di ogni Comune sarà rimessa alla combinazione di una serie di fattori che verranno comunicati dagli 8.000 Comuni d’Italia con criteri assolutamente “spannometrici”. Usciti da questa “roulette” verranno conteggiati i costi in euro pro capite e sapremo chi veramente ci perde e chi ci guadagna nell’operazione federalista. Nel frattempo sarà passato un altro anno. I sindaci non saranno stati in grado di mettere in campo interventi per i propri cittadini e forse saranno stati costretti a tagliare servizi e investimenti per il territorio.

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