Famiglie e povertà: che divario

Percentuali “stabili”, ma che confermano una situazione di precarietà delle famiglie italiane, in particolare quelle numerose e che vivono al Sud. È quanto emerge dal rapporto Istat sulla povertà in Italia, relativo al 2010, diffuso oggi, per il quale “l’11% delle famiglie è relativamente povero e il 4,6% lo è in termini assoluti”. Se “la stima dell’incidenza di povertà relativa” è rimasta sostanzialmente stabile rispetto al 2009, “segnali di peggioramento - rileva l’Istat - si osservano, tuttavia, tra le famiglie di cinque o più componenti (dal 24,9% al 29,9%), in particolare nel Centro (dal 16,1% al 26,1%), tra quelle con membri aggregati (dal 18,2% al 23%) e di monogenitori (dall’11,8% al 14,1%)”, mentre “nel Mezzogiorno peggiora la condizione delle famiglie con tre o più figli minori”. In Italia, nel 2010, “sono 2.734.000 le famiglie in condizione di povertà relativa”, pari all’11% di tutte quelle residenti, cioè “8.272.000 individui poveri, il 13,8% dell’intera popolazione”. La soglia di povertà relativa (pari alla spesa media pro capite nel Paese), per una famiglia di due componenti, è di 992,46 euro, mentre la soglia mensile di povertà assoluta, sempre per una famiglia di due componenti con 18-59 anni, oscilla tra i 747,71 euro per chi vive in un piccolo Comune del Sud e 1.057,18 euro per i residenti in un’area metropolitana al Nord. In condizioni di povertà assoluta, ossia non in grado di procurarsi quell’insieme di beni e servizi “essenziali per conseguire uno standard di vita minimamente accettabile”, vivono 1.156.000 famiglie (4,6%), per un totale di 3.129.000 persone, il 5,2% dell’intera popolazione. “Quasi un terzo delle famiglie con cinque o più componenti (il 29,9%) – prosegue l’Istat – risulta in condizione di povertà relativa”, con un peggioramento di 5 punti percentuali rispetto al 2009; “l’incidenza raggiunge il 42,1% fra le famiglie che risiedono nel Mezzogiorno”, dove la povertà relativa “cresce dal 36,7% del 2009 al 47,3% del 2010 tra le famiglie con tre o più figli minori”. “Il disagio economico – sottolinea il Rapporto – si fa più diffuso se all’interno della famiglia sono presenti più figli minori: l’incidenza di povertà, pari al 15,6% tra le coppie con due figli e al 27,4% tra quelle che ne hanno almeno tre, sale rispettivamente al 17,7% e al 30,5% se i figli sono minori. Il fenomeno, ancora una volta, è particolarmente evidente nel Mezzogiorno, dove è povera quasi la metà (il 47,3%) delle famiglie con tre o più figli minori”. Ancora, “la povertà è superiore alla media (14,8%) tra le famiglie con due o più anziani, in particolare al Nord”. Andando ad analizzare il dettaglio territoriale, “la Lombardia e l’Emilia Romagna sono le regioni con i valori più bassi dell’incidenza di povertà, pari al 4,0% e al 4,5% rispettivamente. Si collocano su valori dell’incidenza di povertà inferiori al 6% l’Umbria, il Piemonte, il Veneto, la Toscana, il Friuli Venezia Giulia e la provincia di Trento. Ad eccezione di Abruzzo e Molise, dove il valore dell’incidenza di povertà non è statisticamente diverso dalla media nazionale, in tutte le altre regioni del Mezzogiorno la povertà è più diffusa rispetto al resto del Paese. Le situazioni più gravi – conclude l’Istat – si osservano tra le famiglie residenti in Calabria (26,0%), Sicilia (27,0%) e Basilicata (28,3%)”.I dati dimostrano che “il benessere economico della famiglia italiana è strettamente legato alla possibilità di avere uno, e magari due, redditi da lavoro. Altrimenti si entra in una spirale di difficoltà”, commenta Riccardo Prandini, docente di sociologia della famiglia all’Università di Bologna. A riprova di ciò, sottolinea, “dove il lavoro, con la crisi economica, è venuto meno si registrano percentuali preoccupanti di povertà”. Il riferimento è alle famiglie del Mezzogiorno con tre o più figli minori, dove la povertà ne colpisce pressoché una su due (47,3%). Inoltre, aggiunge il sociologo, “si sta andando a erodere quella base di sicurezza familiare che per decenni ha costituito, nel nostro Paese, un ammortizzatore sociale informale”: la famiglia oggi non è più “capace di risparmiare” e quindi sopportare i momenti di difficoltà. “È una situazione drammatica, dalla quale è difficile uscire”, mette in guardia Prandini.E se è vero che “da un lato c’è ancora una certa ricchezza privata delle famiglie che non sempre è vista dai sistemi di rilevazione statistici”, dall’altro i meccanismi di ricerca e conservazione del posto di lavoro sono in balia a “dinamiche sociali sempre più preoccupanti”, nonché si è affermata, negli anni, una “cultura del consumo dalla quale oggi è difficile tornare indietro”.

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