Evitateci un settembre di fuoco

“La situazione rimane complessa: chi pensa che a livello internazionale sia tutto risolto, si sbaglia di grosso”. Se a dirlo è il presidente del Consiglio, Enrico Letta, e non quella Standard&Poor’s che - da agenzia di rating - ha operato un leggero declassamento del grado di affidabilità del sistema-Italia, allora c’è poco da discutere. L’agenzia americana ha fatto una duplice valutazione: economica e politica. La nostra economia è ancora in recessione, e pure pesante. A fine anno il Pil sarà sceso dell’1,9%, continua il nostro impoverimento. Si pensava che il calo si limitasse all’1,5%, sta andando peggio del previsto. Per il 2014 si parla di crescita (finalmente), ma limitata allo 0,5-0,7%: basterà un soffio per farla sparire. La seconda valutazione ha considerato come la classe politica italiana stia affrontando il problema di un debito pubblico ancora in crescita, e che toccherà a fine anno il 129% del Pil nazionale. Tanto? Poco? Beh, basti pensare che, dopo la disastrosa Prima Guerra mondiale, il debito pubblico britannico toccò il 138% del Pil. E noi, senza aver fatto una guerra, ci siamo vicini.Si diceva: cosa i politici fanno, o non fanno, per evitare che la situazione, da difficile, diventi incontrollabile. Se i tassi aumentano - e la dinamica generale è questa - il costo degli interessi da pagare punterà verso quota 100 miliardi di euro. Una ventina più di adesso, e siamo in difficoltà a trovarne 8 per abolire l’Imu prima casa e per sterilizzare un punto di Iva. Già: il balletto su Imu e Iva, cioè su briciole rispetto all’amara torta del debito, sta facendo insospettire chi osserva i nostri conti per dare un giudizio agli investitori di tutto il mondo. Soprattutto preoccupa che un possibile punto di forza si stia rivelando una grande debolezza: un governo sostenuto da una larghissima maggioranza parlamentare, quindi senza sostanziale opposizione e con numeri favorevoli, dovrebbe decidere tanto, rapidamente e pure cose difficili e scomode.Mentre il nostro esecutivo di larghe intese si impantana ad ogni piccola decisione: sui 4 miliardi di euro da reperire per non aumentare l’Iva al 22%, non siamo riusciti a far altro che a… rinviare la decisione di un trimestre. Una decisione che ci è costata un miliardo di euro (e infatti sono aumentate le accise sulla benzina, le marche da bollo, le sigarette elettroniche…). Decidere di non decidere può essere utile alle dinamiche politiche interne, ma crea problemi e viene valutato all’esterno come segno di grande debolezza. E il continuare a spostare decisioni sta creando un ingorgo di fuoco a settembre, quando moltissimi nodi verranno al pettine e non si potrà più dilazionare ulteriormente. Insomma si dovranno fare delle scelte in condizioni ben più difficili delle attuali.Si dirà: che sarà mai un piccolo declassamento di un’agenzia di rating… Vale molto, invece. Ci sposta in graduatoria di affidabilità del debito sotto Paesi come la pur derelitta Slovenia e la Slovacchia; mette un freno ad investimenti esteri sui nostri titoli; ci fa così pagare di più in termini di interessi da offrire. Per fortuna che c’è un Mario Draghi che, indirettamente, ci sta tenendo in piedi. La sua conclamata e chiara decisione di non alzare i tassi di interesse sull’euro ci aiuta a tenere a bada il nostro debito. Ma il tempo di cincischiare è finito: sebbene gli italiani sembrino un po’ disinteressati alla questione, il resto del mondo ci vede ancora sull’orlo del burrone.

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