ESCLUSIVA - «Cellula della ndrangheta attiva nel Lodigiano»: l’allarme dell’Antimafia

Segnalate anche influenze della stidda gelese e dei clan di Cerignola ma il fenomeno emergente sono le mafie etniche e i movimenti finanziari transnazionali

Ndrangheta, «nella provincia di Lodi le indagini di organi investigativi calabresi nel primo semestre 2020 hanno documentato la presenza di qualificate cellule criminali»: lo si legge nell’ultima relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia nazionale presentata al ministero dell’Interno e al Parlamento. Per la prima volta in un documento ufficiale si parla di ’ndrangheta «presente» in provincia di Lodi, dopo che isolate emergenze investigative avevano segnalato singole attività di personaggi in contatto con il crimine organizzato e già tempo fa esponenti delle forze dell’ordine avevano dichiarato che il nostro territorio ha contatti con tutte le principali organizzazioni criminali italiane. Il gruppo ndranghetista presente nel Lodigiano secondo la Dia sarebbe «una cellula collegata alla cosca Alvaro di Sinopoli (Reggio Calabria)», e la presenza sarebbe stata individuata contestualmente a indagini che hanno evidenziato nel Pavese un’altra cellula legata «al locale di Laureana di Borrello», sempre nel Reggino. Trattandosi di una relazione d’insieme, la Dia non diffonde ulteriori particolari.

Riguardo ad altre province vicine, «Mantova, Cremona e Bergamo sono state interessate negli ultimi anni da diverse inchieste delle Dda, che hanno dato conto della permeabilità di quei territori all’interesse criminale espresso, in particolare, della cosca Grande Aracri di Cutro (Crotone)».

Secondo la Dia, emblematico di attività della criminalità organizzata era stato anche il tentativo di estorsione con incendi dolosi consumato nel marzo del 2019 ai danni di un costruttore di San Giuliano Milanese, che ha portato a contestare responsabilità a tre uomini - due dei quali originari di Gela ma residenti a Busto Arsizio e a Melegnano - uno dei quali si sarebbe presentato alla vittima come «appartenente alla stidda gelese» e aveva richiesto all’imprenditore 150mila euro in contanti.

All’attenzione della Dia anche gli assalti ai furgoni blindati (due nel nostro territorio, alla fine di gennaio del 2020 nei pressi di San Zenone e nel novembre del 2014 all’altezza di Pieve Fissiraga), che secondo gli investigatori «evidenziano l’elevato grado di professionalità della criminalità cerignolana, dotata di un quid pluris sia in termini finanziari sia di caratura delinquenziale».

Ma molti capitoli investigativi restano ancora da scrivere e il crimine ha abbattuto le frontiere. Nelle 600 pagine del rapporto sono elencate anche molte consorterie etniche ma una in particolare spicca per la capacità di lavorare in parallelo nel lecito e nell’illecito, e sono le organizzazioni cinesi, capaci di cooperare finanziariamente con clan italiani e sempre più sfuggenti: nel 2012 le rimesse di denaro in Cina erano state per 2,7 miliardi di euro (dati Bankitalia), nel primo trimestre 2020 per 1,3 milioni. Per la Dia il flusso è sfuggito al controllo, tra criptovalute e più tradizionali “spalloni”. È un fiume di denaro “made in Italy” di cui lo Stato ha perso le tracce.

© RIPRODUZIONE RISERVATA