Economia, prudenza non è pigrizia

Nei primi mesi del 2011 è ricomparsa nei media la parola inflazione che era stata dimenticata e a volte sostituita, nell’ultimo biennio, dalla parola deflazione. Un tasso d’inflazione che ha superato la soglia del 2%, un livello che ha messo in allerta la Banca centrale europea tra i cui compiti principale vi è quello di garantire la stabilità monetaria. Un livello di prezzi ancora lontanissimo dall’inflazione “galoppante” (che supera il 10%) conosciuta dagli italiani nel periodo che va dal 1973 ai primi anni ‘90. L’inflazione è ricomparsa per due motivi: un aumento dei prezzi dei beni alimentari e dei prodotti collegati all’energia e una politica monetaria espansiva delle due maggiori banche centrali del mondo (quella degli Usa e quella dell’Unione europea). I prezzi dei beni alimentari sono stati influenzati da una diminuzione della produzione e dall’aumento dei consumi. I cattivi raccolti sono conseguenza delle diverse calamità succedutesi in diverse parti del pianeta, da ultimo lo tsunami in Giappone che causerà una diminuzione del raccolto del riso. I consumi alimentari aumentano perché, in alcuni Paesi migliorano le condizioni di vita: si cambiano le abitudini alimentari preferendo la carne ai cereali e questo provoca un aumento della superficie agricola destinata agli allevamenti. Questi Paesi stanno vivendo quello che è successo in Italia negli anni ‘60 quando intere generazioni passarono da un’alimentazione (genuina) basata sui legumi alla “fettina di carne”. I prezzi dei prodotti dell’energia risentono invece dei conflitti, collegati in alcuni casi alla ricerca di valori democratici (per fortuna), nei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo e del Medio Oriente. Su entrambi i mercati poi agisce la “speculazione” che trova munizioni illimitate grazie al basso livello dei tassi d’interesse, conseguenza della politica monetaria espansiva. Una politica monetaria espansiva che permette alle banche di finanziarsi a tassi massimi dell’1% presso la Bce o la Fed e di prestare o impegnare il denaro in operazioni che rendono molto di più. Grazie a questa politica le banche si stanno riprendendo dai disastri finanziari degli scorsi anni. Gli aumenti delle materie prime iniziano a trasmettersi ai prodotti finiti, i prezzi alla produzione a febbraio sono aumenti del 5,3%. Da qui ai prezzi al consumo il passaggio è questione solo di tempo. Per abbassare le aspettative d’inflazione nelle scorse settimane la Bce ha avvertito che intende rivolgere la sua attenzione principale nei confronti dell’inflazione. Tra gli esempi che si insegnavano all’università vi era quello che paragonava le capacità della politica monetaria a un cannone con un solo colpo in canna che aveva di fronte due obiettivi: l’inflazione e la ripresa economica. Sparando a un obiettivo non si poteva colpire l’altro e questo poteva agire indisturbato. Fino ad oggi la Bce ha sparato sostenendo la ripresa economica poiché eravamo in presenza di bassi rischi d’inflazione. Oggi invece si cambia obiettivo. I tassi ufficiali non sono ancora stati aumentati ma si spera che l’effetto annuncio costringa tutti gli operatori, soprattutto quelli finanziari, a comportamenti più prudenti. Comportamenti prudenti che recenti dati confermano nelle scelte dei consumatori italiani: - i bilanci sulle percorrenze delle società autostradali segnalano un aumento del traffico dei mezzi pesanti quale conseguenza della leggera ripresa trainata dall’economia tedesca mentre diminuisce il traffico dei veicoli privati; - nella produzione di beni e servizi diminuisce sempre di più l’incidenza dei prodotti energetici importati a favore di nuove tecnologie o energie rinnovabili; - malgrado l’aumento dei tassi di interesse sui mutui l’indice di accessibilità all’acquisto di abitazioni è migliorato grazie a una leggera diminuzione dei prezzi delle case e a un leggero aumento dei redditi da lavoro; gli affitti inoltre sono segnalati in leggera diminuzione. L’incertezza di questi mesi causata dalla forza della natura e dalla natura dell’uomo che in certe circostanze provoca violenze singole o collettive, rischia di far cadere l’Italia in un cupo pessimismo dopo decenni di un benessere che veniva considerato definitivo. Un pessimismo che rischia d’impigrirci dimenticando che ogni uomo ha in sé la forza per ricostruire e per vivere tutti i cambiamenti che gli toccano nella sua esistenza. La cultura e la storia (festeggiamo i 150 anni dell’Unità d’Italia) ci aiutino a respirare quel sano ottimismo e voglia di migliorare il mondo che è in ognuno di noi.

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