Ecomostri e centri storici in abbandono

È molto positivo e di buon auspicio che uno studente universitario esprima interesse e sensibilità per i problemi inerenti all’urbanizzazione e alla realizzazione di infrastrutture nel Lodigiano. Il riferimento è a Matteo Magnani, autore dell’articolo pubblicato da “Il Cittadino” il 27 giugno scorso che titola “Il Lodigiano, un territorio strategico”.

Se ne deduce che l’orizzonte di attenzione per ciò che avviene nel nostro territorio si va progressivamente ampliando, comprendendo categorie sociali e culturali sempre più vaste.

Tuttavia non sono ancora state raggiunte le comunità di base con politiche di informazione e coinvolgimento nelle scelte di espansione edilizia. E’ ancora viva la convinzione dell’ opportunità di edificare; e un’amministrazione comunale riscuote valutazioni positive in base all’allestimento di cantieri, all’asfaltatura di percorsi stradali campestri, piazzole, svincoli, risolvendo così i problemi di manutenzione del verde.

I piani di Governo del Territorio dovrebbero essere illustrati in assemblee pubbliche, per un confronto diretto con i cittadini, ma anche per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle scelte amministrative nei confronti di un territorio, qual è il nostro, che va perdendo irreversibilmente la sua vocazione agricola.

Una severa bacchettata ci viene data dall’Unione Europea che segnala il Lodigiano fra i territori più cementificati: è l’autorevole sentenza del Centro di Ricerca della Commissione Europea, con base a Ispra, che evidenzia l’artificializzazione del suolo di otto Province italiane, fra cui Lodi, città alla quale “ non è esagerato assegnare la maglia nera nell’uso del suolo” (Gesualdo Sovrano).

La capacità produttiva agricola è gravemente compromessa. Ma ciò non arresta la voracità di asfalto e cemento che continua a divorare il nostro territorio, rendendolo non più leggibile nelle sue peculiarità che non sono solo riferite alle colture agricole, ma anche alle caratteristiche del paesaggio, ridotto ad una mescolanza irrazionale di edifici, strade, manufatti di varie tipologie introdotti disordinatamente fra i campi coltivati.

Un esempio emblematico è l’ecomostro edificato nel territorio comunale di Meleti, di enormi dimensioni e pesante impatto ambientale, inserito in un contesto paesaggistico di notevole significato per la presenza di un edificio sacro, meta di interesse devozionale, e per la storia che attribuisce al sito avvenimenti di rilevante spessore culturale, le cui tracce potrebbero essere ancora presenti nel sottosuolo. “Ma la cultura non si mangia”, affermò un noto personaggio della politica di casa nostra. L’attrazione esercitata dalla prospettiva di nuovi posti di lavoro può essere allettante, ma non basta a giustificare certe scelte amministrative.

Come non lo è la presunta necessità abitativa che ha motivato la pressione edilizia della città di Codogno con rapida erosione della periferia, dove sono stati inseriti centri commerciali e supermercati, alcuni veramente squallidi, senza un albero, di cui non si avvertiva una vera necessità. Sono solo due esempi di speculazione immobiliare che non ha considerato la irrimediabile compromissione delle funzioni biologiche del suolo, l’implicazione delle falde acquifere conseguenti ai processi di impermeabilizzazione, che alterano i ricambi idrici fra suolo e sottosuolo, rendendo precaria la disponibilità dei terreni fertili e le risorse idriche da consegnare alle future generazioni.

Mentre si continua a costruire, dilatando enormemente le periferie, i centri storici si svuotano,.mostrando immobili, anche di un certo pregio, in stato di abbandono e di progressiva fatiscenza. E’ un immenso patrimonio edilizio da recuperare mediante l’attivazione di politiche mirate all’incentivazione degli interventi di ristrutturazione.

La cultura non si mangia, ma di cultura si può mangiare, come affermano autorevoli e accreditati economisti, sostenendo che l’enorme patrimonio culturale dell’Italia, se opportunamente e strategicamente valorizzato, potrebbe costituire una invidiabile risorsa che altri Paesi non possiedono, il nostro petrolio.

Purtroppo siamo ancora troppo lontani dal raggiungimento di questo obiettivo e impreparati all’adozione di politiche mirate ad una svolta progettuale che presuppone invece una preparazione culturale attualmente tutta da costruire.

L’economia gira vorticosamente in un’altra direzione volta a soddisfare esigenze immediate, senza prospettive aperte sul futuro. Ma il futuro è già qui.

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