Ecco le “bombe ecologiche” sotto casa

Per il ministero sono 12 le aziende “a rischio di incidente rilevante”

Le “bombe ecologiche” finite nella lista del ministero dell’Ambiente - aggiornata al mese di aprile - sono in tutto dodici. L’elenco è stato al centro di un convegno organizzato la settimana scorsa dall’associazione Ambiente e Lavoro, il cui segretario nazionale Rino Pavanello ha illustrato quali sono gli stabilimenti classificati “a rischio di incidente rilevante”, in base alla direttiva Seveso. L’appuntamento, intitolato “Icmesa 35 anni dopo e responsabilità dopo le sentenze Thyssen, Montefibre, Saras”, si è tenuto in occasione del 35esimo anniversario dell’incidente industriale che nel 1976 provocò la fuoriuscita di diossina in Brianza. Di fronte all’esistenza di 10mila stabilimenti pericolosi in tutto lo Stivale, nel corso del dibattito si è discusso della questione sicurezza.

Per quanto riguarda il Lodigiano, i documenti del ministero dell’Ambiente segnalano la presenza di 12 imprese, 8 catalogate come “articolo 8”, dove cioè il rischio è elevato, e 4 come “articolo 6”, dove il rischio è considerato medio. Nel primo gruppo si trovano Unilever Italia di Casale, Dow Italia di Fombio, Baerlocher di Lodi, Sipcam di Salerano, Ceva Logistics Italia di Somaglia, Società elettrochimica Solfuri e Cloroderivati di Tavazzano, Sasol Italy e Sovegas entrambe di Terranova. Nel secondo gruppo, invece, si contano Mariani Petroli di Cavacurta, Euticals e Innocenti Depositi di Lodi, Viscolube di Pieve.

Cgil, Cisl e Uil, pur mettendo in luce aspetti diversi rispetto al panorama delle aziende chimiche del territorio, su una cosa sono d’accordo: per la sicurezza non si fa mai abbastanza. «Spesso e volentieri le aziende investono sulla sicurezza quando capitano degli incidenti, come è successo alla Baerlocher o alla Sifavitor di Casaletto - afferma il segretario provinciale della Filctem Cgil -, spesso si interviene a posteriori ed è proprio questo il lavoro grosso da fare: insistere sulla prevenzione e sulla cultura della sicurezza, anche perché le imprese la considerano come un costo e non come un fattore indispensabile. A volte i tavoli di concertazione parlano solo di aria fritta, un tavolo permanente con gli enti competenti potrebbe invece imporre alle aziende gli strumenti adatti».

Gianpiero Bernazzani spezza una lancia a favore della Baerlocher, dove tempo fa scoppiò un reattore: «Corsi di formazione erano stati fatti, purtroppo è il tipo di lavoro che porta ad avere situazioni particolari, anche se si crede di aver fatto abbastanza poi capita un incidente. È anche vero che le aziende chimiche sono tra le più controllate, i nostri delegati hanno il compito di segnalare le anomalie e una volta all’anno si verifica la situazione, sotto il profilo dei rischi e delle emissioni. Oggi in questo settore le aziende hanno capito che occorre essere in regola il più possibile, c’è una buona predisposizione a riguardo ma non è mai sufficiente, ecco perché con le piattaforme sindacali portiamo sempre avanti questo discorso. L’incidente può capitare anche dove tutte le misure adottate sono perfette, l’errore umano è sempre possibile, ecco perché devono essere previsti gli strumenti in grado di contemplarlo». Per Francesco Montinaro, segretario provinciale della Uilcem, spesso è difficile capire quanto un colosso ha intenzione di destinare al capitolo sicurezza, anche se dal suo punto di vista i “big” della chimica tendono a garantire i corsi di formazione. «Noi chiediamo alle aziende di tenere aggiornati i lavoratori, è chiaro che tutti gli aspetti dovrebbero essere monitorati con un osservatorio, si dovrebbe costruire una banca dati a livello provinciale. Per la sicurezza non si spende mai abbastanza, qualche volta sembra che si giochi al risparmio, una cosa che non si dovrebbe mai fare».

Greta Boni

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