Docenti licenziabili? Un incubo

Oggi è successo all’università di Padova, ma un domani può succedere anche in una qualsiasi scuola perché quando di mezzo c’è il conflitto tra diritto e dovere all’apprendimento da una parte e tutela della professionalità dall’altra, allora può accadere che la bilancia possa pendere dalla parte degli allievi. E mi spiego. L’insegnamento, checché se ne dica, è una mission molto delicata e difficile, che richiede una particolare predisposizione d’animo fatta di comunicazione, ascolto, comportamento, relazione, equilibrio, ma anche di conoscenza, abilità, capacità di giudizio, gestione delle emozioni. Tutto questo perché. Perché i ragazzi, oggi, sono più vivaci, più critici, talvolta si permettono anche di giudicare, di emettere sentenze, di regolare i rapporti secondo determinate condizioni dettate, imposte e non negoziabili anche se questo vuol dire trasgredire le regole. Ci sono ragazzi che fanno della provocazione uno sport quotidiano e come campo scelgono la classe mentre come spettatori preferiscono i compagni di classe, costringendo i docenti ad armarsi di «santa pazienza». Talvolta l’insegnante ha la sensazione di vivere un’esperienza amara, sapendo già che nelle migliori delle ipotesi dovrà essere pronto ad affrontare, sia pur da solo, una qualche situazione piuttosto complicata. Ma un insegnante deve mettere sul conto tutto a partire dalla disponibilità all’ascolto e all’approfondimento che non devono mai essere negati a nessuno. Una premessa necessaria per capire fino in fondo il perché del licenziamento di due docenti esterni avvenuto di recente all’Università di Padova. Il motivo? Pare che i due docenti non fossero puntuali alle lezioni, non fossero disponibili ai chiarimenti richiesti dagli studenti e oltretutto peccavano di chiarezza nella didattica e nei voti. Come si vede una serie di lamentele che hanno indotto i vertici dell’ateneo veneto a non rinnovare il contratto per offrire agli studenti alternative professionali più rispondenti ai bisogni e alle aspettative. A questo punto una domanda è lecita. E se una simile procedura dall’Università passasse alle scuole? Ovvero. Se a seguito di continue lamentele da parte di studenti e genitori nei confronti di un docente lassista, non disponibile al dialogo, accusato di scarsa chiarezza didattica e valutativa, si prospettasse l’ipotesi del licenziamento? Personalmente direi che per i docenti non di ruolo non ci sarebbe niente di strano. E’ probabile che prima o poi si arrivi a ciò. L’aria sta già cambiando. Qualcuno potrebbe obiettare che una simile drastica apertura al demerito dovrebbe trovare riscontro solo in determinate condizioni che non possono prescindere dal comportamento degli studenti nelle classi. Vale a dire che talvolta il fallimento di certi obiettivi formativi è da addebitare esclusivamente ai tanti ragazzi poco inclini ad affrontare con la dovuta serietà lo studio. In questo caso la responsabilità degli insegnanti verrebbe a cadere. Una tesi su cui non mi trovo d’accordo. Certo che la condizione di attenzione da parte degli studenti durante una lezione in classe ha la sua importanza, ma la motivazione allo studio con conseguente impegno e successo scolastico si anima solo a condizione che l’insegnante modifichi certi particolari cattivi orientamenti motivazionali. Chiarisco. Non dimentichiamo che spetta all’insegnante, in primis, modellare comportamenti di attenzione verso i ragazzi mediante un dialogo che porti a meglio comprendere loro stessi e le loro aspettative. Del resto cosa si aspettano gli studenti dai propri insegnanti se non attenzione nei loro confronti; comprensione dei sacrifici messi in campo per raggiungere determinati risultati; chiarezza nelle spiegazioni e nelle risposte a eventuali domande di approfondimento; correttezza nei rapporti relazionali; giustizia nelle valutazioni? Solo così crescono le condizioni per una maggiore disponibilità all’ascolto da parte degli studenti che vanno a coincidere con la soddisfazione delle aspettative da parte dei docenti. A questo punto non è escluso che si configuri la condizione congiunta di una maggior motivazione allo studio dei ragazzi e di una maggior soddisfazione professionale dei docenti. Mi si potrebbe obiettare che un conto sono le teorie altro è la quotidianità in classe. Una quotidianità fatta di studenti poco portati al rispetto delle regole, di studenti pronti a mettere in discussione persino la capacità professionale dell’insegnante, di studenti poco portati al dialogo soprattutto se questo richiede partecipazione, riflessione critica e costruttiva, confronto delle proprie idee con quelle altrui. Va bene tutto. Ma allora i docenti che ci stanno a fare se non a educare i ragazzi a vivere con correttezza e partecipazione le diverse fasi della vita? E questo, fino a prova contraria, è uno specifico compito dell’insegnante. Le regole valgono per tutti e fra queste c’è anche la negoziazione tra studenti e docenti che si rivela inevitabile per stabilire obiettivi sociali e comportamentali. Ricordiamoci che quanto più gli studenti vengono concretamente coinvolti, quanto più il loro ruolo viene valorizzato, tanto più ne guadagna il clima classe con tutto quello che ne consegue. Ecco perché l’insegnante viene ad assumere un ruolo determinante ai fini del successo scolastico degli allievi a lui affidati. Un bravo insegnante non è tanto quello che vuole apparire tale in quanto a scienza e intelletto, ma colui che vuole esserlo in quanto saggio esempio educativo, disponibile a ricercare le ragioni necessarie per risalire all’individuazione dei bisogni sociali ed emozionali dei propri allievi. Un qualsiasi insegnante spera sempre in una buona classe. Ma la buona classe esiste solo nell’immaginario collettivo. In realtà la classe è quella che un insegnante si ritrova entrando in aula, sapendo già la fatica a cui ricorrerà per mesi e mesi. «Lavoriamo senza posa ad abbellire e conservare il nostro essere immaginario, e trascuriamo quello vero» ci ricorda Blaise Pascal. Mai lasciarsi condizionare da ciò che appare a prima vista. Bisogna andare oltre poiché le cose non sono né belle, né brutte lo diventano a seconda del fine che si intende perseguire e quando si ha a che fare con decine di ragazzi è facile essere catturati dallo sconforto poiché così si può giustificare l’apparenza. Delusioni, frustrazioni e fallimenti sono gli incubi che accompagnano la giornata tipo di un insegnante. E’ vero. La professione docente è dura, ma non tremenda. E’ semplicemente dura e difficile, ma è una scommessa che ben si coniuga con la propria consapevolezza.

© RIPRODUZIONE RISERVATA