Cosa fare per chi è senza lavoro

Il lavoro è in una fase critica nel nostro Paese. L’attenzione nei dibattiti, soprattutto quelli politici, si concentra sulle regole dei rapporti tra dipendenti e datori di lavoro. Certo i diritti sono essenziali, ma per concentrarsi sul problema e avviarci verso una soluzione forse bisognerebbe agire anche su sue altre dimensioni. Con “Noi Italia”, la fotografia dell’Istat che fornisce alcuni indicatori per capire il nostro Paese, possiamo cogliere l’occasione per riflettere su due ulteriori dimensioni: dove ci sono possibilità occupazionali e come si organizza il lavoro. L’istituto di ricerca ci dice che il 60% delle persone tra 20 e 64 anni risultano occupate. La fascia d’età che aumenta il tasso di occupazione è quella più anziana (55-64 anni), mentre la nota dolente sono i giovani, tra i quali si contano oltre 2 milioni di scoraggiati che rinunciano a impegnarsi nella ricerca di lavoro.Il mondo lavorativo è molto frammentato: in particolare, nota l’Istat, tra i lavoratori il 13,8% ha un contratto a tempo determinato e il 17,1% è assunto a tempo parziale. Si aggiunge poi che si valuta che il lavoro irregolare circa il 12% del totale (ecco l’importanza di insistere sui diritti). Rispetto a questo quadro, per valutare le risorse possiamo poi intercettare alcuni settori dove ci sono possibilità occupazionali. Scopriamo tra i vari indicatori che il maggior incremento di posti di lavoro negli ultimi 15 anni è stato tra “le unità di lavoro che partecipano al processo di produzione di beni e servizi a carattere culturale, ricreativo e sportivo”: il 15,1%. C’è poi la possibilità di innovazione organizzativa, che richiede anche un cambio culturale. Un esempio è lo “smart working”, a Milano è stata celebrata qualche giorno fa “la giornata del lavoro agile”. Si tratta di introdurre orari elastici e affiancarli alle innovazioni digitali per realizzare efficacemente il “telelavoro”. Una ricerca del Politecnico di Milano ha evidenziato che inserire tale innovazione organizzativa, permetterebbe alle aziende di “salvare” 37 miliardi di spese improduttive perché aumenterebbe la produttività delle persone ed eviterebbe una serie di costi indiretti. Inoltre lo “smart working” avrebbe un’incidenza positiva per gli insediamenti urbani con la riduzione del traffico, dello smog, e allevierebbe i carichi dei mezzi pubblici, senza contare le diverse condizioni per la conciliazione tra famiglia e lavoro.Per il lavoro agile però serve una nuova cultura del lavoro che investa sul rapporto di fiducia tra lavoratori e loro datori, come sulla programmazione dei compiti e degli obiettivi, oltre che investimenti strutturali per rendere possibili e realistiche le connessioni digitali.

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