Che cosa passa nella testa delle orde di turisti che continuano ad arrivare sull’Isola del Giglio per mettersi in posa davanti al relitto della Costa Concordia e farsi fotografare o filmare da amici e parenti? Nulla di sensato, verrebbe da dire, perché è un comportamento talmente insulso e fastidioso da risultare difficile perfino da criticare.Ci stupiamo ma, purtroppo, non possiamo sorprenderci. Succede così ogni volta che un luogo, un oggetto o una situazione rimbalzano all’attenzione del grande pubblico per l’effetto amplificante che la grancassa mediatica moltiplica a dismisura. Niente di nuovo, capita puntualmente in ogni occasione dalle conseguenze tragiche, dai terremoti agli omicidi. In fondo: quanti di noi riescono a non guardare nemmeno per un momento verso l’incidente che si è verificato sull’altra corsia stradale se si trovano a passarci accanto?La curiosità è un elemento naturale e non è strano che si cerchi di soddisfarla anche attraverso gli occhi, oltre che con il cervello. Ma farsi riprendere sorridenti con la manina che fa ciao davanti all’enorme nave da crociera coricata su un fianco non ha niente a che fare con la voglia di saperne qualcosa di più. È soltanto una dimostrazione ulteriore di quel voyeurismo a cui i media non soltanto ci hanno abituato ma ci stimolano continuamente e che noi, dal canto nostro, subiamo in modo sempre più acritico.È quasi come se i turisti che si recano in visita al relitto della nave cercassero di colmare un “gap” di popolarità con chi si trovava sulla Costa e, suo malgrado, è stato al centro delle cronache mediatiche. Ma il sospetto viene e si alimenta ancor più nel vedere con quale avidità alcuni di questi turisti dello scoglio chiedano ai giornalisti televisivi che li intervistano quando andrà in onda il filmato che li vede protagonisti.Dato che – come ha detto qualcuno – a pensar male si fa peccato ma si indovina, un altro sospetto si affaccia alla mente: è probabile che molti fra i guardoni dell’Isola del Giglio siano gli stessi che un anno fa o poco più sfilavano ad Avetrana per mettersi in posa davanti alla casa di Michele Misseri in cui è stata uccisa Sarah Scazzi o che per mesi hanno fatto tappa alla casa di Perugia in cui ha trovato la morte Meredith Kercher; e chissà, magari nel 2006 sono andati anche a visitare la villetta di Cogne in cui è stato assassinato il piccolo Samuele Lorenzi.Nell’epoca dell’immagine e dell’accesso generalizzato ai media, non dovrebbe essere difficile per chi è in cerca di visibilità trovare spazi di evidenza agli occhi del mondo. Servono anche a questo i Social Network, che permettono a ogni persona di farsi vedere da chiunque mettendosi in mostra nel modo che preferisce. Il problema nasce quando si scelgono luoghi come quelli di un omicidio o del naufragio di una nave, segnati da un evento tragico che ha provocato morte e disperazione.C’è chi, tra il serio e il faceto, ha proposto una multa per questo tipo di turismo dell’orrore, ma in fondo - in attesa di un difficile ravvedimento generalizzato della coscienza popolare - basterebbe poco per non cadere nella tentazione del voyeurismo fine a se stesso. Gli inviati delle testate giornalistiche, per esempio, potrebbero evitare di puntare telecamere e microfoni verso questi incoscienti. E noialtri spettatori o lettori dovremmo indirizzare altrove la nostra attenzione. A meno che decidiamo di parlarne per stigmatizzare comportamenti simili, con l’obiettivo di non cascarci a nostra volta.
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