CODOGNO La fabbrica abbandonata diventa un rifugio per senzatetto

Cinque persone, due coppie di romeni e un 43enne italiano, vivono da tempo nell’ex Hexion

In un container con la porta e la finestra incellofanate per non fare passare il freddo, dietro il cancello dell’ex stabilimento chimico Hexion oltre la passerella ferroviaria, sopravvive da mesi il codognese A.P., 43 anni, italiano, un passato da magazziniere alla Lever e una vita che si sarebbe detta “normale”. «Ho già fatto il secondo inverno qui e “pelavo”, ho bisogno di una casa», rispondeva ieri con lo sguardo perso nel vuoto alla domanda su quanto tempo è che va avanti così, e come c’è finito, e perché non ha chiesto aiuto e se vorrebbe andar via.

Ma non è il solo a vivere qua dentro. In questa terra di nessuno che è il corpo derelitto della vecchia fabbrica hanno trovato rifugio anche Margherita e il marito Buco, romeni, 67 anni lei e 62 lui, con la loro cagnolina. Nei mesi del lockdown si erano riparati nella sala d’aspetto della stazione vuota. Hanno attraversato solo i binari, ma da questo “lato” le condizioni sono anche peggio. Oltre a loro tre è arrivata di recente un’altra coppia di romeni, sono giovani e dalla pancia la donna aspetterebbe un bambino. Si sono sistemati nella vecchia portineria, e si dice facciano andare una stufa a legna. Non parlano italiano e comunicare è praticamente impossibile. A.P. lo fa a gesti e monosillabi.

Condividono lo spiazzo protetto dalla cancellata e ognuno si è accomodato a suo modo: con il tavolino e le sedie per mangiare, il barbecue, lo stendino. Il 43enne vive nel container senz’acqua, gas e corrente, e per lavarsi dice di andare da un’amica. Ma quando scendono la notte e il gelo, «mi metto tre coperte» ammette. «In due anni ho avuto due perdite, non ho più il papà, la mamma e mio fratello. Sono solo». Spiega che il padre è morto diversi anni fa, lo trovarono esanime nelle campagne della Mirandolina dove inizia la strada per le Monticchie, accanto alla sua bicicletta. I giornali all’epoca ne diedero notizia. Il fratello maggiore invece se n’è andato per una grave malattia. E anche la madre è morta. «Avevamo un capannone con 19 operai, facevamo tutte cose da confezionare», prosegue il 43enne, che racconta di aver lasciato il lavoro alla Lever per dare una mano alla madre e quando l’attività è andata male, di essersi trovato a piedi. È il racconto di un uomo provato, quanto attendibile è difficile dirlo, ma non contraddittorio, che torna sempre al punto: il bisogno di andar via da lì, di un tetto, di un aiuto.

«Ho bisogno di una casa», ripeteva ieri A.P. cercando di convincere anche la giovane coppia di romeni e Margherita a chiedere un posto dove andare, perché l’inverno all’addiaccio lui l’ha già passato e sa quanto si sta male. Lo ripeteva davanti al cancello dell’ex Hexion, tra l’andirivieni degli operai e dei mezzi Rfi che lì a fianco ogni giorno entrano ed escono dal cantiere della ferrovia.

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