Codice etico, la non cultura della vittoria

In tempi di scommessopoli nel calcio, di doping nel ciclismo e addirittura di storie di spionaggio in Formula Uno, un Codice etico per lo sport sembra qualcosa di simile a un libro dei sogni. Eppure è proprio questo il momento di tirare una bella linea di demarcazione sul significato odierno dello sport. Se qualcuno lo intende ancora come valore, da tramandare ai propri figli, da far praticare per condurre un’esistenza più sana, da ammirare, dal vivo o in tv come spettacolo unico, allora la risposta è sì: ben venga questa “Carta etica dello sport” varata da poco tempo dalla Regione Toscana: si tratta di 15 articoli molto espliciti in cui si afferma il diritto di tutti a fare sport per stare bene, che definiscono la pratica dello sport “componente essenziale nel processo educativo” e la lealtà, ovvero il fair play fondamentale in ogni disciplina sportiva sia a livello dilettantistico sia professionistico. All’elaborazione della carta ha contribuito un Comitato scientifico presieduto dal magistrato Piero Luigi Vigna e da un giornalista di lungo corso come Mario Sconcerti, che ha evidenziato come il nostro sport “strabordi di cultura della vittoria, ma non curi più la cultura della sconfitta”. Invece è proprio attraverso le prove più dure, avverse e difficili che lo sport può diventare formativo, che un giovane può apprendere da una gara una lezione che gli servirà anche durante la vita. Oggi però tutto sembra così cinico, votato al guadagno, al business, al rendimento: logiche che immancabilmente portano a praticare scorciatoie, sempre meno lecite, rendendo lo sport un mezzo e non un fine, per le proprie ambizioni personali o per il proprio tornaconto economico. Una volta bastava De Coubertin a garantire l’essenza dello sport, che si specchiava nei Giochi Olimpici: oggi basta avvicinarsi a un campetto di calcio di periferia, la domenica mattina, per vedere genitori che aizzano i propri figli gli uni contro gli altri, che passano sopra falli e scorrettezze pur di vederli vincere e affermarsi, che litigano tra loro e insultano l’arbitro al primo fallo fischiato. Ecco perché questa Carta diventa importante, e lo sarà ancor di più se verrà recepita anche da altre regioni o dall’Italia nel suo insieme: essa insiste sul valore socializzante e inclusivo della pratica sportiva, che fornisce occasioni di conoscenza, comprensione e integrazione anche tra persone di diverse origini etniche e culturali, senza dimenticare i valori “salutistici” sia per i giovani sia per i meno giovani, sempre nel rispetto della centralità della persona umana. Naturalmente ogni forma di doping viene dichiarata fuorilegge, perché è vista come una violazione dei principi sportivi. Secondo l’ex magistrato Piero Luigi Vigna, il binomio tra etica e sport va coltivato partendo sprattutto dai più giovani, “mettendo dentro alla gente l’essenza dello sport, non solo in chi lo pratica ma anche nei genitori. È inutile pressare il bambino o il ragazzo in uno sport che si ritiene lucroso, se lui non lo vuol fare. La scelta di uno sport deve essere un atto individuale, fargli capire che lo sport serve a farlo diventare uomo, non ricco”.

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