Caselle Landi, «quel corpo nel Po era lì da una settimana»

Oggi l’autopsia, in tasca i documenti di Stefano Barilli e un biglietto sigillato «è un suicidio intenzionale»

Era fermo nel Po da almeno una settimana il corpo con abiti scuri e scarpe eleganti recuperato sabato dai vigili del fuoco, con in tasca una busta di plastica ben sigillata contenente la carta d’identità del 23enne piacentino Stefano Barilli e un biglietto scritto in stampatello. «Nessuno mi ha costretto, è un suicidio intenzionale», alcune delle parole vergate con una biro blu. Il pescatore 70enne di Caselle Landi che sabato ha telefonato in municipio per dare l’allarme, ha raccontato che già una settimana prima aveva notato qualcosa di scuro su quei rami depositati dal Grande fiume. Poi sabato, navigando sotto riva con la sua barca a causa del vento, è passato più vicino e si è reso conto che poteva essere un corpo.

Il Procuratore di Lodi Domenico Chiaro al momento non vuole sentire parlare di “psicosette”: «Sul posto c’erano il sostituto procuratore di turno e un medico legale, e di segni di violenza sulla salma non ce n’erano». L’autopsia di questa mattina a Pavia però di risposte potrebbe darne molte. Perché se da una parte lo stato della salma è compatibile con i due mesi trascorsi dalla scomparsa di Barilli, l’8 febbraio scorso, quando la mamma non l’ha più trovato nel suo letto, nella loro casa di Piacenza, di particolari che meritano una risposta ce ne sono più di uno.

Ma è vero che dopo la scomparsa Stefano avrebbe noleggiato un’auto? E quella ripresa della videosorveglianza, non confutata, che il 9 febbraio sembrava ritrarlo entrare nel negozio del benzinaio all’inizio della provinciale della Valnure con un orologio al polso e a comperare una macchinetta per fare le sigarette - peccato che alla mamma risulta non fosse un fumatore - è attendibile, o si tratta solo di una somiglianza?

Barilli era stato nuotatore agonista, nella Canottieri Piacenza e, per un anno, in una formazione di pallanuoto. Già una volta, si racconta a Piacenza, era uscito con le sue forze dal Po. Forse prima di buttarsi - o venire buttato - c’era un peso legato al collo, il che può spiegare la mancanza della testa sulla salma. La Procura non ha chiesto alla madre il riconoscimento, che si basa sul volto: l’identità ufficiale del corpo arriverà solo dal confronto del Dna.

E poi, quando Stefano era sparito, dopo aver cancellato i suoi profili social, si sarebbe portato dietro anche un vocabolario di tedesco. Pochi giorni prima di sparire era stato un mese a Zurigo, non a lavorare ma, pare, a frequentare un corso, pagandosi un albergo, dal quale usciva un paio d’ore dopo cena, quasi ogni giorno. E si era appassionato di libri a tema “come guadagnare tanti soldi” e “usare al massimo la propria mente”. Nel suo passato tanta sofferenza, prima la morte del padre naturale e poi anche quella del patrigno, cui era molto legato. Di risposte, insomma, un’indagine approfondita, a Lodi o a Piacenza, potrebbe davvero cercarne tante.

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