Carolina si è uccisa a 14 anni

Un suicidio resta sempre qualcosa, in fondo, di inspiegabile, di insondabile. Il suicidio di una ragazzina di 14 anni, poi, lo è ancora di più. C’è, infatti, nel gesto estremo di chi chiude con la propria esistenza, qualcosa che rompe drammaticamente con la natura umana, portata piuttosto alla vita, all’affermazione di sé, tanto più nel caso di chi è giovane. Così la prima reazione di fronte al gesto di Carolina, la quattordicenne morta a Novara gettandosi dal balcone, è quella di un profondo sconcerto. Cosa si agitava nel cuore di quella ragazzina, che agli occhi di tutti era già una donna, grande, bella, piena di possibilità e di amici? Difficile, se non impossibile, spiegare il mistero, che lascia intravedere solo la fragilità, il difficile equilibrio sul quale si gioca la crescita e il cammino di ogni persona. Prima di ogni tentativo di “spiegazione”, ci si sente profondamente partecipi di un malessere misterioso che evidentemente ha colto Carolina, quasi avvolti da un dolore che di sicuro in questo momento strozza la gola dei familiari, degli amici e porta via le parole.Il suicidio di Carolina è stato subito associato al bullismo. C’è stato un fiume di commenti online in proposito. Il dito puntato contro presunte angherie che la ragazzina avrebbe subito da parte di coetanei. Non è da sottovalutare questo aspetto. Il bullismo, reale e virtuale, è un fenomeno diffuso e per un adolescente il parere, l’accettazione, il giudizio del gruppo dei pari - gli altri come lui, che si fanno forza stringendosi insieme - è decisivo. Oggi gli spazi dei bulli si sono allargati, come si sono allargati gli spazi di vita dei più giovani, con la prateria immensa della rete, dei social network, in un mondo sempre più “connesso” dove inevitabilmente si amplificano anche le aggressività. Per arginare il bullismo gli esperti pensano che l’azione migliore sia quella di “togliere terreno” ai bulli, agendo su chi li guarda, su chi assiste alle prevaricazioni, marcando cioè con una forte riprovazione l’azione aggressiva e violenta. In questa direzione sono andate in questi anni numerose iniziative, soprattutto nelle scuole, dove l’incontro/scontro tra i pari si realizza maggiormente. C’è ancora strada da fare, agendo peraltro e contemporaneamente anche in un’altra direzione e cioè quella del rinforzo personale, della costruzione attenta di personalità capaci di reggere/reagire alle frustrazioni. È anche questo, in fondo - e senza in nessun modo giustificare così le aggressività - uno dei problemi dei nostri ragazzi, talvolta sempre più fragili, disorientati, soli, quando spesso, invece, li immaginiamo emancipati, capaci di scegliere, “grandi” perché si orientano con facilità tra gli smartphone e i tablet, perché adottano comportamenti e look da adulti precoci e via di questo passo.Ecco, il fatto drammatico accaduto nei giorni scorsi a Novara può far riflettere una volta di più sulla necessità che gli adulti custodiscano in modo sempre più consapevole i più piccoli. Non si tratta di toglierli dai pericoli - impresa impossibile - o di soffocarli tenendoli sotto le ali di chiocce ingombranti. Piuttosto di non avere pause nell’attenzione, nell’ascolto, nell’impegno educativo e di cura, che non è questione solo familiare, ma va sempre più condiviso.

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