Business Park, purché si crei occupazione...

Sul tema del Parco Industriale collegato al polo universitario e della ricerca di Lodi sarebbe utile confrontarsi con serietà e rispetto, facendo riferimento a elementi concreti e dati di fatto. Purtroppo, gli interventi del Wwf e di Francesco Cancellato pubblicati sul Cittadino non vanno in questa direzione: il primo perché con toni offensivi e denigratori chiude ogni spazio al dialogo; il secondo perché denota ampie lacune di conoscenza.Partendo da quest’ultimo, basterebbe leggere l’Accordo di Programma tra Regione, Provincia, Comune, Camera di Commercio ed Università, nonché il programma di mandato dell’amministrazione comunale di Lodi, per trovare risposta alle domande poste. Domande assolutamente legittime da parte di chiunque, ma un po’ sorprendenti da parte di chi si propone come autorevole osservatore della realtà locale e dovrebbe quindi avere dimestichezza con fonti che non sono sommerse o misteriose, bensì trasparenti e pubbliche, proprio come da lui auspicato. Dunque, pensare di collocare il Parco Industriale su aree dismesse in prossimità del Parco Tecnologico Padano (ammesso che ne esistano: sarebbe un contributo concreto al dibattito se venissero indicate) o presso le strutture inutilizzate della zona produttiva di San Grato, non è una “eresia”: è un’opzione che potrebbe presentare alcuni vantaggi (maggior vicinanza al Ptp, impiego di superfici già urbanizzate), ma non soddisferebbe un requisito fondamentale, quello della proprietà pubblica delle aree in questione. Fondamentale (come è stato ripetutamente spiegato, in ogni possibile occasione e contesto) perché la proprietà pubblica consente all’amministrazione pubblica di gestire in completa autonomia le regole di utilizzo di queste aree, stabilendo limiti e vincoli che vanno anche al di là delle ordinarie norme urbanistiche, a garanzia della sostenibilità e del ridotto impatto ambientale degli interventi; fondamentale, inoltre, perché la proprietà pubblica non ha l’obiettivo di realizzare con questi interventi il massimo rendimento finanziario che sarebbe ottenibile alle condizioni che un operatore privato del mercato immobiliare potrebbe liberamente stabilire, bensì quello di governare l’operazione secondo il prioritario interesse pubblico, che è quello di favorire l’insediamento di nuove imprese, quindi produzione ed occupazione a beneficio della città e del territorio. Non è una eresia nemmeno “pensare di ridurre la superficie del businness park, preservando almeno in parte il suolo agricolo, in coerenza con le reali e attuali possibilità di trasformazione e insediamento”: infatti, non solo è stato pensato, ma è stato deciso e formalizzato, “nero su bianco”. Basta, come detto, leggere l’Accordo di Programma, in cui non c’è un impegno a realizzare il Parco Industriale (come invece c’è l’impegno, dettagliato, a realizzare le strutture di completamento del polo universitario), ma semplicemente l’indicazione di una prospettiva, subordinata ad una verifica di opportunità che passa da uno studio di fattibilità.

E ancor più chiari e inderogabili sono i termini con i quali sulla questione si esprime la relazione programmatica di mandato approvata nella seduta di insediamento del nuovo consiglio comunale: “L’attuazione del progetto avverrà gradualmente, urbanizzando solo le aree strettamente necessarie in presenza di richieste di insediamento di imprese, in assenza delle quali verrà tassativamente mantenuta l’attuale destinazione agricola, escludendo in ogni caso qualsiasi trasformazione per usi diversi qualora il progetto stesso venisse rimodulato”.Questi sono elementi di fatto, concreti, e dovrebbero costituire la base per un dibattito aderente alla verità, senza preconcetti. Se si presenteranno delle opportunità di insediamento per nuove attività produttive nei settori collegati alle materie di ricerca sviluppate presso il Ptp, dovremo essere pronti per coglierle, e se lo saremo allora otterremo un risultato importante. Sarebbe invece un’occasione sprecata se il territorio si facesse trovare impreparato, dimostrando di non avere la capacità di attirare gli investimenti che il settore delle biotecnologie applicate all’agroindustria è ancora capace di promuovere (dati e statistiche alla mano) e l’occupazione che è in grado di creare, tra i pochi comparti della nostra economia in controtendenza rispetto alla crisi. Per raggiungere questo obiettivo, ogni suggerimento e proposta può essere utile e deve essere seriamente valutato, contribuendo ad un impegno comune a favore dell’unica priorità che dovremmo condividere: quella di creare occupazione stabile e di qualità.

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