Buono Scuola, referendum che è sbagliato

Lo avevano più volte annunciato e ora dalle parole passano ai fatti. Stiamo parlando del referendum abrogativo della legge 107/15 meglio conosciuta come legge sulla «Buona Scuola». I Comitati promotori sono pronti a far partire la raccolta firme, mancano alcuni dettagli organizzativi prima di allestire i tradizionali banchetti in tutte le piazze italiane. L’obiettivo del comitato nazionale «Leadership alla scuola», rimane quello di raggiungere il quorum delle 500 mila firme nel più breve tempo possibile per poi attendere che l’iter normativo faccia il suo corso. Stando al lavoro pregresso con molta probabilità la raccolta delle firme subirà una forte accelerazione nei prossimi mesi e tutto questo perché, per alcune organizzazioni parasindacali, unitamente ad alcune sigle sindacali, la 107/15 è una legge iniqua che lascia irrisolti certi gravi problemi, lasciando nello sbando la scuola. I quesiti referendari dovrebbero essere quattro: gli ampi poteri concessi ai dirigenti scolastici; il contributo del “bonus scuola” per le private (in palese contraddizione con la Costituzione); l’istituzione dei Comitati di valutazione; l’obbligatorietà delle ore di alternanza scuola-lavoro.

Preferisco parlare di legge 107/15 e non di «riforma scolastica» non solo perché lo stesso Renzi è di questo avviso, («non chiamiamola riforma, che non ne possiamo più!»), ma perché secondo il mio personale parere, in questa legge non c’è niente di riforma. La legge sulla «Buona Scuola», infatti, non tocca gli ordinamenti degli indirizzi, non affronta l’impostazione strutturale delle norme che regolano e disciplinano i vari ordini di scuola. Né si può parlare di restyling visto che alla fin fine la «Buona Scuola», state i numerosi problemi ancora da risolvere, non è un’operazione di facciata. Certo se dovessimo andare ai referendum abrogativi sono convinto che la campagna referendaria sarà molto bollente. E’ fin troppo facile puntare su ingiustizie che possono scaturire dai cosiddetti “poteri del preside”, o parlare di incostituzionalità del “bonus” alle scuole non statali, o ancora dell’annoso problema mai seriamente affrontato sulla valutazione dei docenti o delle problematiche sorte a seguito dell’alternanza scuola-lavoro che vede gli studenti impegnati in aziende da taluni ritenute occasioni si sfruttamento dei ragazzi in ambito lavorativo.

Provo ad entrare nel dettaglio, a smontare una dopo l’altra queste tesi e vediamo cosa ne esce fuori. Parliamo dei poteri “soprannaturali” di questi presidi tanto temuti, quanto indeboliti non dalla “Kryptonite”, ma dalle numerose responsabilità conseguenti alle tante stupidate che altri spesso commettono nella scuola. Qui c’è una confusione madornale. Si parla di “Riforma” e raramente sento parlare di rafforzamento dell’Autonomia scolastica. In fin dei conti ciò che risulta essere un potere dato ai presidi, altro non è, invece, che la realizzazione di un altro importante tassello previsto dall’art. 21 della legge 59/1997 meglio conosciuta come Legge “Bassanini” e successive modifiche. Una legge che consegna alle scuole e a chi le rappresenta, l’applicazione di nuove funzioni, l’autonomia organizzativa, «finalizzata, tra l’altro, alla realizzazione della flessibilità, della diversificazione, dell’efficienza e dell’efficacia del servizio scolastico e al miglior utilizzo delle risorse».

Quindi è già dal 1997 che si parla di utilizzare al meglio le risorse, di garantire efficienza ed efficacia del servizio scolastico, ma per realizzare tutto questo è forse un’eresia affidare ai presidi maggiori poteri di gestione dell’autonomia scolastica? Dov’è lo scandalo? Dove sono i poteri forti? Piuttosto diciamo le cose come sono. Per vent’anni ci siamo limitati solo a parlare. Fior di convegni hanno messo in risalto l’incompiuto processo dell’Autonomia, ora che si va verso la piena realizzazione di quella legge, c’è chi grida allo scandalo. Ma come fa un preside a gestire la flessibilità, a puntare sull’efficienza ed efficacia del servizio se poi non gli vengono dati strumenti per valorizzare al massimo le risorse professionali messe a disposizione? D’accordo. Non lo nego. Ci sono presidi che amano l’autoritarismo come variabile della propria personalità, che vivono l’autorevolezza alla pari di una sovranità come chiave di volta di stampo decisionista che conduce inevitabilmente all’esasperazione degli animi. Ma stiamo attenti perché, come si suol dire, «pochi sconsiderati non fanno una tifoseria».

Delicatissima è la questione del contributo finanziario ai genitori delle scuole cosiddette “libere”. Ma perché ci sono quelle che non sono “libere”? La verità è che anche in questo caso siamo di fronte a un ulteriore e successivo tassello seguito alla legge 279/99 di Luigi Berlinguer e ai successivi provvedimenti di D’Alema del 2000 e della Moratti nel 2005. Cosa facciamo? Dobbiamo forse ignorare quello che è un lungo cammino che porta necessariamente a considerare le scuole, statali e non statali, dei veri centri di educazione prima ancora che di formazione? Un discorso a parte va fatto sui diplomifici. Giornali a televisione hanno, talvolta, presentato delle realtà che di scolastico hanno ben poco, dove i titoli di studio sono un’umiliante merce di scambio. Questi ultimi una volta individuati vanno chiusi senza troppe chiacchiere. E veniamo alla valutazione per il merito, diventata facile bersaglio su cui far convergere il fuoco incrociato. Diciamo la verità. La gran parte dei docenti non vuole essere valutata. Perché? Semplicemente perché tutti si ritengono bravi. E invece no! Come non tutti i presidi sono autoritari, così non tutti i docenti sono bravi. Di qui l’esigenza di individuarli e premiarli.

È di questi giorni la notizia del Ministro Stefania Giannini che dal prossimo anno scolastico verrà istituito il premio nazionale per il miglior docente dell’anno a cui andranno assegnati ben 50 mila euro. Il denaro dovrà essere utilizzato per realizzare progetti all’interno della scuola ove insegna. E’ un’iniziativa che si inserisce nella più ampia visione di merito introdotta dalla legge 107/15 e che si affianca al «Global Teacher Prize», meglio noto come il premio nobel dell’insegnamento. Il premio, di un milione di dollari, quest’anno è stato assegnato a Dubai all’insegnante palestinese Hanan Al Hroub. Ora non rimane che fare un passo in avanti e parlare di “Riforma” a cominciare dalla revisione dei percorsi scolastici. Non dimentichiamo che l’attuale sistema costringe i nostri ragazzi a diplomarsi a 19 anni ovvero un anno in più dei loro coetanei europei. E’ questo oggi, che vede i nostri giovani sempre più recarsi all’estero, rappresenta un problema.

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