Buona Scuola: questo sarà un avvio difficile

Ci risiamo. La scuola vive l’estate esclusivamente per scaldare i motori, una operazione che si rivela necessaria se non addirittura indispensabile per far ripartire la macchina a settembre nelle migliori condizioni possibili. Quest’anno l’operazione si sta rivelando più complessa del solito. Non può essere diversamente. Le commissioni impegnate nei concorsi sono ancora in piena attività; le operazioni sulla chiamata diretta sono in graduale applicazione; i trasferimenti sono in fase di pubblicazione; le utilizzazioni e le assegnazioni provvisorie sono alle prime battute; i trasferimenti interregionali dei presidi sono ancora di là da venire; gli organici, con gli esuberi da gestire, sono prossimi. Operazioni amministrative che precedono l’avvio del nuovo anno scolastico e che richiedono una

appropriata tempistica. Il tutto condito, come da tradizione ormai consolidata e quest’anno eccezionalmente accentuata, da minacce di ricorsi e denunce, da richieste di conciliazioni per raffreddare i conflitti, da occupazioni di provveditorati, da sit-in davanti a prefetture (vedi Palermo), da algoritmi ritenuti responsabili di poca trasparenza e perciò stesso forieri di tensioni, da docenti in piazza per protestare contro i trasferimenti non desiderati, da presidi che si rifiutano di applicare le indicazioni date dal MIUR sulla chiamata diretta e da presidi che attivano le chiamate dirette sul modello del “casting” del “Grande Fratello”, richiedendo la presentazione dell’autocandidatura in video a figura intera (vedi i casi dei colleghi di Prato e Pistoia) o da presidi che attivano le chiamate dirette ricorrendo a modelli anomali come quello discutibile messo in atto dal collega di Toritto (Bari) che preferisce docenti dalle “attività didattiche fertili”(sic!). Non mancano poi diffide sindacali contro il sistema responsabile di incongruenze occupazionali, minacce di sanzioni per quei presidi che si lasceranno condizionare da rapporti amicali. Potrei continuare all’infinito, ma è meglio fermarsi per non farsi venire gli attacchi di panico e questo proprio alla vigilia dell’avvio di un nuovo anno scolastico. Del resto questo è la cultura che avvolge la scuola. Se fino a qualche anno fa le notizie che facevano più rumore erano quelle legate agli annunci di autunni caldi, quasi a preparare gli animi al peggio che doveva venire, ora a imporsi sono notizie relative a ricorsi e denunce, a intimidazioni e querele, a diffide e tribunali. Nella scuola ha oramai preso piede una cultura conflittuale che non ammette errori umani, che non cerca le ragioni suffragate da norme, che non vuole altre soluzioni se non quelle dettate da procedimenti giustizialisti. Leggi e norme si possono applicare come si possono interpretare a seconda dello spirito che si ritrova chi è chiamato ad applicarle o a interpretarle. Tutto è relativo, tutto è liquido perché tutto scivola addosso proprio perché prima o poi anche le più strane interpretazioni possono trovare nella norma la più lapalissiana soluzione. Questa è la scuola e con questa cultura volenti o nolenti dobbiamo fare i conti. Certo una delle soluzioni a questo bailamme potrebbe essere quella messa in campo dalla mia collega del Liceo “Piccolomini” di Siena che ha preferito andare anticipatamente in pensione perché in contrasto con le norme introdotte dalla legge sulla Buona Scuola. Contraria all’assegnazione del bonus di merito (io sono favorevole), contraria alla chiamata diretta (io sono favorevole), dispiaciuta per i tanti docenti bocciati al concorso (e chi non lo è), amareggiata per le tante presidenze libere che verranno assegnate in reggenza (è in arrivo il concorso), amareggiata per i docenti costretti a ferragosto a scendere in piazza per tutelare i loro diritti (assolutamente condivisibile). Tutte situazioni comprensibili, ma non per questo da ritenere fondanti per una decisione che se da una parte va rispettata, dall’altra mi dice che la mia collega ha smesso di desiderare di vedere una scuola diversa. Anche agli inizi degli anni settanta quando furono varati i Decreti Delegati che dettero il via agli organi collegiali, molti presidi di quel tempo, preferirono abbandonare la scuola anzitempo non condividendo l’apertura alla partecipazione democratica del governo della scuola. Con quelle norme i presidi, da organi monocratici di governo, si videro proiettati sul fronte della condivisione, del confronto e della collegialità. Un affronto a cui seguì una fuga in massa. Ma la scuola è andata avanti e ha trovato nelle nuove regole la linfa vitale che ha dato significato e senso alla partecipazione, a cui seguirono una serie di leggi e norme che cambiarono profondamente il volto della scuola. Oggi siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Stiamo vivendo profondi cambiamenti. Leggi, decreti e norme che restituiranno alla scuola quel ruolo centrale che le spetta nella società. Certamente occorreranno degli anni, ma il processo è avviato e non può essere più fermato. Sono cambiamenti che se non accettati e compresi possono suscitare ritrosie, contrarietà fino ad arrivare alla messa in atto di iniziative di contrasto. Ma la scuola ha bisogno di questi cambiamenti. Ridurre ai minimi termini il precariato dei docenti, premiare e valorizzare professionalmente i docenti migliori, valutare l’opera che ognuno svolge nella scuola, mettere la scuola in condizione di interagire con la realtà circostante fatta di tradizioni, di crescita sociale e produttiva, significa contribuire a ridarle una forte dimensione pedagogica, significa offrirle un’occasione di apertura al mondo che cambia e di superamento dell’autoreferenzialità. La scuola ha bisogno di professori preparati e motivati, di presidi disposti a sfuggire alla trappola della rassegnazione e della rinuncia. Dare più responsabilità ai presidi non può rappresentare un problema, raggiungere un più alto grado di autonomia non può essere visto come un pericolo, riqualificare agli occhi dell’opinione pubblica la classe docente non può rappresentare una chimera. Non possiamo tenere la scuola ancora ingessata nei suoi ritmi e nella sua atavica organizzazione, alla stessa maniera non possiamo offrire ai ragazzi una scuola distante dai cambiamenti in atto, verremo meno al nostro primario obbligo che è quello di educarli, formarli e prepararli alla vita. Il noto giornalista scientifico Piero Angela a proposito della scuola ha detto: «La scuola oggi è incapace di sviluppare quelle competenze e quei talenti che oggi sono necessari per continuare ad appartenere a una società industriale avanzata. E’ talmente distaccata dalle vere esigenze del mondo del lavoro da essere diventata, in larga misura, una fabbrica di disoccupati con la laurea». Allora andiamo avanti con i cambiamenti.

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