Aquila, il terremoto due anni dopo

Le immagini della tragedia del Giappone, trasmesse ogni giorno dai media, fanno venire quasi lo scrupolo nel ricordare il terremoto aquilano nettamente inferiore a quello nipponico sia per numero di scosse che per numero di vittime. Ogni vita umana, però, fosse anche una sola, merita sempre di essere ricordata. A due anni dal terribile sisma, l’Aquila ancora non riesce a spiccare il volo verso la rinascita. La politica locale, come si sa, è fortemente in crisi nonostante sembri risolta quella in Comune. Forti tensioni continuano ad esserci tra chi, come gli ingegneri, gli architetti, e i costruttori dovrebbero essere tra i protagonisti della ricostruzione. Inoltre la città è ancora priva di luoghi di incontro e socializzazione per i giovani e gli anziani. Dopo una efficiente gestione dell’emergenza, dunque, la tanto discussa ricostruzione sembra essere come una giacca tirata di qua e di là che non riesce a trovare nessun proprietario. Giorni fa, ad esempio, è venuto a mancare un noto urbanista aquilano, Marcello Vittorini, che subito dopo il sisma aveva sottolineato a tutti i responsabili la necessità di restituire subito agli aquilani alcuni monumenti, testimoni della storia e simbolo dell’identità cittadina. Il suo appello è rimasto inascoltato. Il rischio dunque, è che la situazione attuale rischi di tarpare le ali a quella speranza necessaria ora più che mai per guardare avanti verso il futuro. Speriamo che nessuno degli attuali responsabili della ricostruzione voglia essere annoverato dalla storia tra coloro che hanno ucciso la speranza di un popolo che vuole rinascere a tutti i costi. Sì, perché accanto alla situazione appena descritta, c’è quella rappresentata dagli aquilani, quelli che non hanno responsabilità pubbliche, ma che nel silenzio della propria casa, del proprio ufficio o della propria attività, costituiscono la vera forza che sta evitando alla città di morire una seconda volta dopo il terremoto. In una cronaca della fondazione della città dell’Aquila, uno scrittore, Buccio di Ranallo disse degli aquilani: “Ficero la città solliciti et uniti”. A due anni dal terremoto, allora, leggo la frase appena citata non più solo come un auspicio ma come una via obbligatoria da percorrere al più presto, pena la morte definitiva dell’Aquila. Morte che questa volta non sarebbe dovuta al terremoto ma all’incapacità di essere “solliciti et uniti” così come lo furono i nostri antenati. Certamente il prossimo sei aprile, ancora tante lacrime scenderanno sui volti, tanti ricordi invaderanno la nostra mente. Penso ai genitori che non hanno più i loro figli e alle tante famiglie che soffrono terribilmente per il vuoto lasciato da un loro caro vittima del terremoto. È importante però che questo momento di giusta e doverosa commemorazione, non sia fine a sé stesso ma sproni ognuno di noi a fare quello che i nostri defunti oggi ci chiedono: in loro memoria ricostruire la città più sicura e più bella di prima. Allora, il ricordo del 6 aprile sia - come afferma il profeta Isaia - il giorno in cui possa fiorire, nella steppa del post terremoto, il narciso della speranza. La speranza di una città rinata dalle macerie.

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