Antonveneta, confiscati 47 milioni

Il processo Antonveneta potrebbe far finire nelle casse dello Stato altri 47 milioni di euro, importi già sotto sequestro da tempo in quanto presunti guadagni sulle speculazioni sui titoli Antonveneta “eterodirette”, per l’accusa, dai vecchi vertici della Banca Popolare di Lodi. Perché la seconda sezione penale del tribunale di Milano abbia ordinato anche queste confische, lo si legge nelle motivazioni della sentenza di primo grado per la fallita scalata della vecchia Bpl su Antonveneta Bpl.

“Al 14 gennaio 2005 la Bpl ha fornito un dato ufficiale della sua partecipazione nella Banca Antonveneta attestato al 2 per cento circa del capitale, a fronte di un rastrellamento azionario operato a mezzo di clienti finanziati nell’ordine del 13 per cento del capitale medesimo, a febbraio 2005 al dato ufficiale del 2,8 per cento è corrisposto un dato sommerso del 19 per cento circa”: da qui emerge il ruolo dei 38 soggetti individuati dalla procura come acquirenti occulti di quote della banca da scalare. Tra questi soggetti, oltre a società riconducibili agli immobiliaristi Danilo Coppola e Stefano Ricucci, a tre hedge funds svizzeri finanziati da Bpl e a un finanziamento a Edizione Holding (gruppo Benetton) rimborsabile con azioni Antonveneta, anche gli imprenditori lodigiani, e storici clienti Bpl, Carlo Baietta, Antonio Cesare Bersani, Giuseppe Besozzi, Massimo Conca, Roberto Corrado, Mario Dora, Marcello Angelo Dordoni, Giuseppe Ferrari Aggradi, Luigi Gallotta, Giampiero Marini, Luigi Pacchiarini e Paolo Secondo Raimondi. I giudici li chiamano gli “interposti lodigiani”.

Per la seconda sezione del tribunale di Milano l’obiettivo delle acquisizioni non dichiarate agli organi di vigilanza era di mantenere il prezzo delle azioni Antonveneta ai riparo dai rialzi che una scalata palese avrebbe inevitabilmente generato. E la banca di Giampiero Fiorani, che in origine di Antonveneta deteneva solo lo 0,012 per cento, doveva acquisire una quota di controllo superando Abn Amro, che invece era già da anni nel patto di sindacato di Atv e deteneva il 12,76 per cento. Un’operazione “impossibile” che a Fiorani sarebbe riuscita, se la procura della Repubblica di Milano non avesse dato seguito alla denuncia presentata nel febbraio 2005 dai legali di Abn Amro e alla delibera Consob del 10 maggio 2005, che segnalava un patto parasociale “occulto” tra Bpl, Gnutti, Lonati e Coppola.

Per mascherare le transazioni sono stati ricostruiti dai magistrati sistemi tecnicamente complessi, a partire dalla suddivisione delle operazioni più grosse in numerose tranche di piccolo taglio sul book telematico. Il rastrellamento da parte degli “interposti lodigiani” sarebbe iniziato nel novembre del 2004: le azioni venivano acquistare grazie ad affidamenti di denaro dalla Banca Popolare di Lodi caratterizzati da “assenza di istruttoria e di garanzie, incongruità della causale, rilevanza di importi erogati a persone fisiche, elevato profilo di rischio connesso all’unicità di investimento in titoli Atv, dall’immediata correlazione tra le linee di credito erogate da Bpl e le negoziazioni del titolo, dal mantenimento delle plusvalenze realizzate sui conti all’uopo accesi presso Bpl”.

Gli investitori “per conto della banca” sarebbero stati individuati, secondo i giudici milanesi, da Emilio Gnutti sul fronte bresciano e da Silvano Spinelli, consulente Bpl, su quello lodigiano, esplicitando il principio di spartizione delle plusvalenze («l’accordo madre era quello che una parte degli utili che questi signori facevano con le operazioni di trading mobiliare, quindi su titoli, una parte la trattenevano loro e una parte veniva divisa tra me, Boni e Spinelli, questo è il principio», aveva dichiarato Fiorani al pm Eugenio Greco). Alcuni “interposti lodigiani” erano stati sentiti anche dalla Consob, nel 2005, e vi sarebbero stati, scrivono ancora i giudici di Milano, “accordi sulla linea da tenere in caso di audizione alla Consob e sull’individuazione di un legale per eventuale assistenza tecnica”.

Fra tutti i 16 condannati, Fazio e Fiorani compresi, i soli otto “interposti lodigiani” hanno avuto la pena sospesa, perché incensurati e perché hanno avuto tutti meno di due anni di carcere: per Baietta la confisca è di 12.756.320,76 euro, per Dordoni 3.617.296,70, per Ferrari Aggradi di 3.392.463,48, per Gallotta di 10.788.788,97 euro, per Marini di 6.432.393,28 euro, per Pacchiarini di 4.983.690,14 euro, per Raimondi di 3.745.021,64 euro, per Tamagni di 1.638.339,12 euro. Al netto di eventuali oneri fiscali. Attesi molti ricorsi in appello.

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