L’ultima analisi prodotta dalla Svimez, l’Associazione per lo sviluppo industriale nel Mezzogiorno, prevede che a fine anno si potranno constatare elementi più concreti relativi alla ripresa economica. C’è un rischio, però. Che la ripresa sia “intercettata” dalla parte del Paese che ha basi strutturali più solide e che il Mezzogiorno ne rimanga fuori. Se questa è la prospettiva, bene ha fatto il Governo a varare l’Agenzia per la Coesione Territoriale, che ha un compito preciso: quello di garantire che il possibile rilancio dell’economica affronti la “questione nazionale” che riguarda il Sud, con particolare riferimento al corretto utilizzo dei fondi della prossima programmazione europea 2014-2020. Per i prossimi 7 anni, l’Italia avrà a disposizione 60 miliardi, 30 di provenienza Unione europea e 30 di co-finanziamento. I due terzi delle risorse Ue sono destinati al Sud. Sempre che il Sud sia in grado di individuare le priorità, di elaborare i progetti e quindi di divenire soggetto attuatore di spesa. Rispetto alla programmazione del settennato precedente, si è dovuta purtroppo registrare l’incapacità della maggioranza delle amministrazioni regionali meridionali, di comprendere l’importanza strategica di questa questione e di concentrare su di essa la massima attenzione. Infatti, a sei mesi dalla chiusura del ciclo 2007-2013 della programmazione dei fondi europei, l’Italia ha speso poco meno di 20 miliardi di euro: il 40% delle risorse programmate, pari a 49,5 miliardi. Nelle regioni del Centro Nord, il livello di spesa ha raggiunto il 49% delle risorse disponibili, mentre nelle regioni del Sud, ci è fermati al 36%. La maggior parte dei 30 miliardi ancora da spendere, che derivano dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale, riguarda queste Regioni. Ci sono ancora due anni di tempo, per programmare e spendere la consistente parte residua, che si sommerebbe, quindi, ai fondi della nuova programmazione. L’intervento del Governo incide su questo contesto, per certi versi disastroso e sono in realtà poco comprensibili le critiche che ad esso sono rivolte, come, ad esempio, quelle espresse nei giorni scorsi dal Presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, che ha affermato: «Sull’Agenzia il mio è un giudizio seccamente negativo perché viene proposta nel nome del rastrellamento delle risorse dalle periferie al centro in un processo di autoritarismo centralistico insopportabile, perché non è capace di mettere a fuoco le ragioni dell’affanno nella spesa comunitaria. Davvero strano: la struttura che per vent’anni ha gestito al centro con esiti fallimentari diventerebbe una perfetta macchina da guerra. È semplicemente vergognoso che dopo vent’anni di dibattito sul federalismo ci troviamo davanti alla liquefazione programmatica delle articolazioni periferiche dello Stato. Reagiremo con durezza: spero che il Parlamento faccia altrettanto per fermare questo progetto». In questo caso, la polemica politica non tiene conto della realtà, fatta di numeri. L’”affanno nella spesa comunitaria”, di cui parla il Presidente Vendola, è stato anche determinato dalla mancanza di una struttura, dotata di competenze specifiche nell’elaborazione e nell’articolazione dei progetti europei, che affiancasse le Regioni nel loro ruolo – che rimane intatto – di gestori delle risorse. Scegliere di privilegiare, nella programmazione dei prossimi sette anni – come ha annunciato di voler fare il ministro per le Politiche di coesione territoriale – obiettivi che riguardino l’innovazione, l’internazionalizzazione, i beni culturali, le grandi reti infrastrutturali e le infrastrutture di raccordo e dotarsi di uno strumento che aiuti questi intendimenti, ci sembra corrispondere alle esigenze di sviluppo del Sud e alla necessità che un’eventuale ripresa economica non lo veda, ancora una volta, smarrito.
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