GREEN Al Forum di Davos una studiosa lodigiana

Francesca Rosa ha tenuto una lezione sulla biodiversità

Francesca Rosa, nata a Lodi nel 1990, è laureata triennale in Fisica all’Università di Milano, e ha una specialistica in Scienze Ambientali alla Bicocca. Dopo un periodo di studi alla Technical University della Danimarca e alla Aix-Marseille University in Francia, sta svolgendo un dottorato di ricerca al Politecnico di Zurigo, dove fa parte del gruppo di ricerca Ecological Systems Design. Settimana scorsa, ha partecipato al World Biodiversity Forum di Davos.

Di cosa si tratta?

«È un’idea sviluppata dal Department of Geography dell’Università di Zurigo, con l’idea di creare una sorta di contraltare al World Economic Forum, che è quello per cui Davos è conosciuta a tutti. Con questa iniziativa, si è voluto ricordare al mondo che non c’è solo la voce dell’economia, ma anche quella della biodiversità e dell’ambiente».

È la prima volta che partecipa?

«La prima edizione è stata nel febbraio 2020, appena prima del Covid, e io da giovane dottoranda ho partecipato alle conferenze, ma questa è la prima volta che sono stata presente in qualità di relatrice. Il forum è diviso in diverse sessioni, io mi sono presentata per la sessione dal titolo “Modelli e scenari per la biodiversità e i servizi ecosistemici su scala regionale e globale”. Ho mandato la candidatura a novembre e sono stata accettata».

Su cosa verte la sua ricerca?

«Il titolo richiama il rischio d’estinzione di piante, mammiferi e uccelli nei futuri scenari di gestione del clima e delle foreste dell’UE. Con il mio gruppo abbiamo lavorato sulle conseguenze che le mitigazioni legate ai cambiamenti climatici possono avere sulla biodiversità. Mi spiego meglio: abbiamo preso in considerazione due diversi scenari di mitigazione del clima. Da una parte nessuna mitigazione, il cosiddetto “business as usual”, con l’aumento delle temperature fino a 3,6 gradi entro il 2100. Dall’altro, la mitigazione climatica con la diminuzione dei livelli di Co2: questo fa sì che pare dell’energia elettrica prodotta nell’Unione europea si conversa in bioenergie, e quindi ad esempio biomasse. Bisogna calcolare l’utilizzo del terreno per produrre energia e gli effetti sulla biodiversità. Ovviamente, anche l’aumento delle temperature ha un effetto importante sulla biodiversità, ma la nostra ricerca era circoscritta all’aspetto delle mitigazioni. Peraltro, abbiamo dato una prospettiva europea, ma considerando anche le zone da cui l’Unione europea importa. Da esempio, pensiamo alla Carbon Tax, e alle conseguenze a livello globale, non solo locale. Se uno stato singolo la introduce, e le aziende inquinanti delocalizzano la produzione, il problema rimane a livello globale».

Quali sono stati altri contributi interessanti che ha avuto modo di ascoltare?

«Sono stati moltissimi: ricordo quello di Marc Chesney, del Department of Banking and Finance dell’Università di Zurigo. Ha spiegato l’incompatibilità dell’attuale sistema finanziario con la conservazione della biodiversità e la protezione ambientale. Un altro studio interessante era quello di Esther Turnhout, dell’Università di Twente, che ha parlato dell’illusione della neutralità della scienza e della necessità di difendersi da una politicizzazione. O ancora Marco Immovilli, dottorando all’Università di Wageningen, che ha toccato la mancanza di rappresentatività di prospettive diverse da quella dominante, che tendenzialmente coincide con quella occidentale, negli scenari creati per capire gli sviluppi futuri e il loro impatto, e la conseguente genesi di ingiustizie».

Cosa hanno rappresentato questi giorni per lei, al di là degli interventi che ha ascoltato?

«È stata un’importante occasione di confronto: nella quotidianità del Forum, ho incontrato persone che avevo visto magari soltanto in meeting online, persone di cui avevo letto gli articoli e che invece ho conosciuto di persona. Sono incontri molto utili anche dal punto di vista relazionale».

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