«A Lodi nessuna protesi a rischio»

Botulino, acido ialuronico e, naturalmente, silicone. Se ci si aggiunge la mano esperta di un super chirurgo plastico, questa è la ricetta per rifarsi il seno dopo un drastico intervento in sala operatoria causato da un tumore. Per altre, è l’eterna giovinezza che le donne degli anni Duemila conoscono alla perfezione. In questi giorni, però, dalla Francia è scoppiato lo scandalo sanitario legato all’utilizzo delle protesi mammarie Pip, secondo l’accusa le rotture anormali dipenderebbero dal gel silicone di tipo industriale, in grado di causare patologie tumorali.

Alberto Segalini, specialista del Medical Center di Lodi e uno dei “professionisti del bisturi” più conosciuto in città, sottolinea che - per quanto riguarda gli interventi del centro medico lungo la tangenziale - nessuna protesi arriva dalla ditta francese Pip. Ma dal momento che il livello di allerta sull’argomento è al massimo, il chirurgo, insieme ai suoi colleghi, si mette a completa disposizione dei pazienti per dare tutte le informazioni del caso e tranquillizzare i diretti interessati.

«Una protesi mammaria è costituita da un involucro di materiale inerte (silicone o poliuretano) e da un contenuto che, nella maggior parte dei casi, è costituito da un gel di silicone - spiega il chirurgo estetico -. La differenza fra le varie protesi è data dalla forma, dalla tipologia del gel contenuto nell’involucro e dalle caratteristiche dell’involucro stesso. Ovviamente il silicone deve essere medicale e testato. È giusto sottolineare che fino ad oggi non è stato ancora dimostrato il fatto che possano causare un tumore, inoltre le protesi francesi hanno ottenuto un certificato di garanzia dal ministero della salute. Non è vero che si trattava di protesi “low cost”, avevano un prezzo paragonabile a quello delle altre. Noi non ci siamo mai riforniti dalla Poly Implant Prothese - aggiunge Segalini - ma da diversi paesi, dagli Stati Uniti alla Germania, c’è un “bollino” che certifica tutte le caratteristiche del materiale, inoltre rilasciamo una “carta d’identità” con i dettagli».

Ogni impianto deve essere contrassegnato da un marchio Ce che ne garantisce la commerciabilità nei paesi dell’Unione Europea. I professionisti, inoltre, sono iscritti alla Sicpre, la Società italiana di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica, per accedervi è necessario presentare un rigoroso curriculum, a cui aggiungere poi le pubblicazioni.

Se il chirurgo plastico interviene là dove c’è un danno “oggettivo”, causato per esempio da un incidente o da un’ustione, il chirurgo estetico fa esattamente l’opposto: il danno è “soggettivo”, in poche parole un naso da sistemare o un seno da rifare.

«C’è qualcuno che va all’estero per la chirurgia estetica - dice Segalini -, in Slovenia o in Croazia, in Tunisia o in Marocco. Il problema non è tanto la struttura quanto il chirurgo, deve essere uno specialista, a cui poi ci si può rivolgere anche dopo l’operazione, in caso di problemi. È importante il rapporto di fiducia reciproca tra chirurgo e paziente. Nel mio caso parlo molto con le persone, per spiegare loro quello che posso dare e per capire quello che vogliono, non è un percorso breve, anche dopo che hanno preso una decisione se ne riparla».

Da quanto è stata scoperta la “magia” di botulino e acido ialuronico, l’utilizzo della chirurgia si è ridotto. In ogni caso, nella “top list” delle richieste ci sono l’intervento al seno, alle palpebre e la liposuzione. Il costo dipende da numerosi fattori: il chirurgo, la sala operatoria, l’anestesista e, soprattutto, per quanto riguarda la mastoplastica additiva, le protesi, che possono costare da 800 a 1.400 euro la coppia.

Con la crisi anche il “bisturi della bellezza” trema: i tempi sono duri anche per gli specialisti che cancellano le rughe, ridisegnano alla perfezione un naso e danno alle donne qualche taglia di reggiseno in più (o in meno). Interventi estetici che non sono obbligatori e che nell’ultimo anno, a causa delle ristrettezze economiche che hanno colpito anche le tasche dei lodigiani, si sono ridotte.

«Non abbiamo dei numeri precisi a riguardo - conclude Segalini - ma ci siamo accorti che il lavoro è diminuito. Diamo alle pazienti tutte le informazioni del caso, dal momento che si tratta di un’operazione non necessaria, se c’è il minimo dubbio...non si fa».

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