Sarà proprio l’uomo Carlo Daccò che ci mancherà

“Il mio desiderio più grande è stato quello di sposare mia moglie; e non avrei nemmeno osato sperare che il Signore mi desse la grazie di avere due figli”. Sono alcune delle parole che Carlo mi ha affidato in uno dei nostri ultimi incontri. Ne sono rimasto stupito. Non perché dubitassi del suo amore verso la propria famiglia ma perché non immaginavo che il nostro dialogo arrivasse a quella profondità. Io ho circa la metà dei suoi anni e abbiamo condiviso gli sforzi e le speranze di un impegno nel campo della Pastorale Sociale della nostra Diocesi: certo non abbiamo vissuto una quotidianità familiare. Eppure di tutte le nostre riflessioni di questi ultimi periodi queste parole sono quelle che più di ogni altro manifestano il senso di quello che ho potuto imparare da lui. Siamo uomini e donne semplici, deboli e umili sempre. Troppe volte ci perdiamo nei nostri ruoli, nella funzionalità dei nostri rapporti, nelle regole e nelle forme, nella superbia dei nostri privilegi, nella paura di rivelarci nelle nostre debolezze e di abbracciare la povertà degli altri. Ecco allora che tutto il senso di ogni nostra azione , anche politica sociale o economica, esiste solo se fatta da persona verso altre persone. “Prima di tutto l’uomo”. Questo è il messaggio che Carlo ci ha portato nella suo sforzo culturale, in chiave laica, e di evangelizzazione, in chiave ecclesiale. Quando si dimenticano le persone e i loro bisogni non esiste azione politica o sociale; men che meno azione politica e sociale che possa dirsi ispirata ai principi della Dottrina Sociale della Chiesa. Ricordo le volte in cui mi palesava tutto il suo malessere per una politica di poltrone e favori, impermeabile ai veri bisogni della gente, sorda alle grida degli ultimi; sentiva ancor più dolore quando si rendeva conto che a volte anche “personalità cattoliche” (per quanto qualcuno possa ardire a dirsi tale) si comportavano allo stesso modo. Il dolore di Carlo era veramente sincero perché in lui era fortissimo quel sentimento di Chiesa come popolo di Dio in un solo Corpo. Il suo amore per la Chiesa era quello di un figlio divenuto grande e maturo che discute e cerca di consigliare la propria madre. Un figlio che anche quando vede cose che non vanno, perché anche la Chiesa è fatta di uomini peccatori, riconosce comunque in ogni momento che essa è madre e che senza di essa non avremmo nemmeno la vita. Allora la Chiesa ha potuto solo amarla e viverla sempre. Questo sentimento di prossimità, a partire dagli ultimi, spiega tutto quello che Carlo ha provato a testimoniarci nella sua esperienza di vita rispetto ai grandi temi politici e sociali: il valore della vita e della persona, la dignità del lavoro, il senso della ricchezza, la politica come servizio, il rispetto dell’ambiente, la forza della solidarietà. Penso che Carlo ci perdonerà se in questi momenti chi lo ha conosciuto, pur con tutta la speranza che ha cercato di infonderci, sentirà che sta perdendo quelle chiacchierate schiette, quelle riflessioni acute, quei consigli sinceri e quell’umiltà laboriosa di cui era capace.Ma Carlo ci devi perdonare perché ce lo ricordavi tu “Prima di tutto l’uomo” e sarà proprio il Carlo Daccò Uomo che ci mancherà. Grazie Carlo.

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