Dal ministro parole scoraggianti che fanno male

Ciao a tutti, non so bene perché prendo l’iniziativa di scrivervi dato che non é nelle mie abitudini farlo, e non possiedo né un conto facebook e non ho mai utilizzato twitter.

I miei ritmi di vita, una certa repulsione verso questa mania di rendere tutto pubblico ed il sentimento che in fondo la mia opinione conti poco e nulla cambierà.

Ancor più non penso che serva discutere di un articolo di giornale quando sappiamo bene cjhe spesso il titolo non rispecchia il contenuto dell’articolo e poi c’è da considerare il contesto. E poi i problemi ormai cronici dell’Italia sono così complessi che non è facile prendere posizione o proporre soluzioni senza creare scontenti.

Però quello che ho letto in queste ultime ore sugli italiani che decidono di partire viene a toccare corde sensibili, ferite lontane ma ancora sensibili.

La nostra Italia, la nostra amata terra di Pino Daniele, il vanto della moda, del mangiar bene, dei santi, degli inventori, della mafia, del cinema, della storia, della civiltà, dei terremoti, etc., etc.

Sarebbe troppo facile cercare esempi di contraddizioni tra politica e decoro, buon senso. Ma ormai in questo paese del rutto libero niente può più essere discusso, si diviene disfattisti o bastian contrari.

Ma perché?

Non mi é mai piaciuta la definizione di cervelli in fuga. Per me il solo cervello di fuga è quello di omer simpson in uno dei suoi episodi.

Chi cerca all’estero formazione, studi, esperienza lo fa per il suo bene, per curiosità per migliorarsi. Questo è sempre accaduto in passato e al giorno d’oggi gli scambi sono solamente più facili, è piu facile cogliere opportunità.

Ma il punto non è questo, il punto è che troppo spesso per chi parte non c’è occasione di ritorno. O per lo meno di ritorno coerente con le proprie esperienze.

E ancor peggio per troppi il partire è per sperare in qualcosa che in Italia non c’è. Per questo, al di fuori di chi parte per uno stage di formazione per un periodo limitato, io penso che si dovrebbe parlare semplicemente di emigrazione. La differenza col passato è che adesso le valige non sono piè di cartone e spesso si parte con un diploma.

Essere straniero, abbandonare gli affetti, gli amici, lo stile di vita, dover spesso sentirsi messo alla prova per dimostrare che i diplomi, le competenze non sono solo bei pezzi di carta.

E poi non è vero che all’estero tutto è perfetto, ci sono dappertutto problemi, difficoltà. E ad ogni volta ci vogliono molte energie per trovare la giusta soluzione perché le differenze culturali fanno sì che tutto costi più fatica (immaginate uno straniero in Italia che va in un garage per riparare la sua macchina e si trova un meccanico che parla solo in dialetto).

Per tutto questo, nonostante tutte le attenuanti possibili, le parole del ministro fanno male. Fanno male e sono totalmente scoraggianti.

Si dice spesso che ogni paese ha la classe dirigente che si merita. Non lo so, o almeno non lo so più. Ma spero che per l’Italia non sia vero.

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