Tra le zolle il profumo della libertà

È una mattina di incerte luci autunnali - i colori immobili preludono all’inverno ma la temperatura è gradevole - mentre da un avamposto di zolle di Cavenago d’Adda osservo su opposte sponde il campanile del santuario e quello della chiesa parrocchiale. Sono ospite di Ermanno Bonizzoni, sul cui animo mite - la buona indole dei lodigiani, direbbe il suo conterraneo Andrea Maietti - ho fatto leva per farmi ospitare.

Il padre “menalatt”I Bonizzoni sono originari del Cremasco. Il padre Celeste faceva il “menalatt”: nel cuore della notte, mentre gli altri dormivano già da almeno un paio di rintocchi d’ore, lui cominciava i suoi giri per le cascine; in realtà, dormiva anche lui sul carretto: era il cavallo a condurlo dove c’era da ritirare i bidoni del latte, e per questo Celeste Bonizzoni era legatissimo a quell’animale.Celeste aveva sposato Ines Lupo Stanghellini di Bagnolo Cremasco, il cui padre era agricoltore, un affittuario ramingo, che amava spostarsi cercando di migliorare sempre la propria condizione e l’avvenire dei suoi figli.Quasi sicuramente - ma ai figli non lo raccontarono mai, perché erano riservati e taciturni - si conobbero perché pa’ Celeste ritirava il latte del padre di lei; sicuramente ad Ines piacque quel ragazzo, che appariva buono d’animo e soprattutto accondiscendente, qualità indispensabile per mantenere un equilibrio con lei, che era impetuosa e desiderava avere il controllo di tutto.Pa’ Celeste ed Ines andarono a condurre una piccola cascinetta nei pressi di Credera Rubiano. Poi, aiutati dal suocero, il signor Domenico Lupo Stanghellini, che apprezzava quel genero mite, la giovane coppia raggiunse la cascina Tomboni, a Cavenago d’Adda, all’epoca proprietà dei fratelli lodigiani Zanaboni; erano questi ultimi due professionisti affermati, uno lavorava a Bologna e l’altro a Trieste, e avevano affidato i loro affari ad un amministratore, l’ingegnere Premoli.

Uniti si cresceIl toponimo della corte pare derivasse dal pianoro in cui essa era sita, rispetto alle zone più alte del paese. L’azienda agricola fu inizialmente condotta, oltre che dai coniugi, anche dal fratello di Ines, che si chiamava Antonio. La possessione era limitata, e con una stalla di sole tre bovine, regalate dal padre di Ines; così Antonio preferì fare il guardiacaccia alla Tenuta Zerbaglia, il cui conduttore agricolo era diventato giusto appunto suo padre, il signor Domenico Lupo Stanghellini, ma che in quegli anni, durante il secondo conflitto mondiale, dovette dividere il cascinale con l’esercito tedesco, che lì aveva piazzato un proprio comando.Pa’ Celeste Bonizzoni, sotto il vigile controllo della moglie, si era inserito bene nella comunità rurale di Cavenago; nel 1946 era stato fra i soci fondatori della Cooperativa Sant’Isidoro, realtà presso la quale gli allevatori del paese conferivano il latte per la lavorazione. Oltre a Bonizzoni, si contavano altri nove soci sottoscrittori, fra cui un insegnante elementare, Lucio Ferrari, per la sua istruzione e la sua onestà, figura di garanzia per tutti, tanto che assunse il ruolo di presidente. Questa società era stata una fondamentale risposta alla ditta Polenghi Lombardo, non interessata a ritirare il latte a conferenti le cui bovine si contavano sulle dita di una sola mano. Sullo slancio dell’entusiasmo, furono prodotti burro, gorgonzola, mascarpone e altri formaggi molli; non solo: la cooperativa acquistò - per un tessuto rurale che andava ancora avanti con buoi e cavalli - un trattore, una trebbiatrice, una mietitrebbia e una sgranatrice, macchine che furono affidate giusto a Celeste Bonizzoni, affinchè provvedesse alle lavorazioni richieste dai soci per i propri terreni.

Un prete sanguignoA consigliare e spronare gli agricoltori del territorio, fra i primi sostenitori della cooperativa Sant’Isidoro, tanto da esserne stato il fautore della scelta del nome, vi era il prevosto del paese: don Luigi Vaccari. Era questi un prete con precise qualità: amava i propri parrocchiani, che davanti al confessionale metteva in riga, e detestava i nemici del Padreterno, che individuava nei comunisti, come fossero inviati dal diavolo in persona. Gli abitanti del paese erano, nella stragrande maggioranza, persone semplici, non certo ricche, ma quando don Vaccari promuoveva una colletta, allora, i cestini delle offerte si riempivano: i parrocchiani gli riconoscevano che avrebbe speso sino all’ultimo soldo per ristrutturare l’edificio sacro e ingrandire gli ambienti dell’oratorio, mentre la sua casa rimaneva sempre decrepita e male in arnese.Don Vaccari aveva abolito l’affitto delle panche in chiesa, così che anche chi fosse squattrinato potesse sedere in prima fila davanti all’altare, e dimostrato con i fatti che gli ultimi sarebbero stati i primi, quantomeno davanti ai suoi occhi, che erano attenti, anzi attentissimi, a scoprire qualunque cosa potesse offendere il suo senso del pudore, che raggiungeva apici estremi: se una donna non si presentava all’eucaristia con il velo, e soprattutto coperta, nel senso che doveva indossare abiti castigati, castigatissimi, la rimandava indietro, senza darle la comunione. Peggio ancora quando si proiettava un film nel cinema del salone parrocchiale: quella era l’occasione in cui, sottraendosi per un paio d’ore al controllo delle famiglie, le coppie di innamorati potevano tenersi per mano o scambiarsi un bacetto furtivo; don Vaccari montava su tutte le furie! Per fortuna, aveva una camminata assordante: il suo ciabattare s’udiva cinque minuti prima del suo arrivo effettivo, e così i romantici fidanzati avevano il tempo per farsi trovare composti ed immobili. Aveva, infine, un buon estro artistico, e dipingeva quadri validi, soprattutto ritratti di santi, vescovi e papi. Pur di origini umili, era un uomo estremamente colto ed erudito.

Un colpo durissimoI figli di pa’ Celeste ed Ines crebbero in questo contesto. Di loro - questa era l’intesa - uno solo avrebbe continuato in agricoltura. Il primogenito, Agostino, si tirò immediatamente fuori. Egli ha sposato Domenica Sampellegrini, la cui famiglia da anni gestiva già la storica trattoria La Barca, lì a Cavenago: la mamma di lei, Carolina Vailati, era stata una cuoca di eccelsa bravura, e la tradizione proseguiva. Al locale si era pure affiancato un novero di buongustai, che avevano costituito un gruppo denominato “Amici dell’antica Barca”, tuttora molto attivo, promotore di svariate iniziative, tra cui quella conosciutissima del “Salamino d’oro”, oltre ad estemporanee di pittura e, in collaborazione con la Pro loco, all’allestimento del presepe in piazza.Destinato al passaggio del testimone agricolo, era stato il secondogenito Pier Luigi. Ma il destino remava contro: mentre svolgeva il servizio di leva, fu vittima di un incidente, che gli costò la vita. Lui era carrista, e durante la manutenzione dei mezzi, finì schiacciato da un cingolato. Correva l’anno 1962, Pier Luigi aveva 23 anni. Un mese dopo si sarebbe congedato. Era un ragazzo allegro, con una vera ricchezza: l’affetto di tantissimi amici.La perdita di Pier Luigi fu un colpo durissimo. A pa’ Celeste si velarono gli occhi di una tremenda nostalgia e quando morì nel portafoglio gli trovarono una piccola bustina trasparente, dove dentro c’era una ciocca di capelli del figlio amatissimo.

Una scelta feliceA quel punto, il terzogenito, Ermanno, che era stato destinato agli studi, decise di affiancare il padre in azienda, pur contro il volere dei suoi genitori. D’altra parte egli non sentiva una particolare vocazione i libri: certi indirizzi nascevano sotto storti auspici; ad esempio, lui amava la matematica, ed invece era stato iscritto al classico. Meglio il lavoro della cascina: così poteva beneficiare pienamente della propria libertà, organizzando come gli pareva e piaceva i propri impegni, senza dipendere dalle altrui direttive.La libertà per Ermanno è il dono più bello che Dio possa avere regalato all’uomo, ed è giusto quindi goderne. Lui, 72 primavere, e un aspetto ancora giovanile, è l’ultimo dei Bonizzoni a fare l’agricoltore. Non ha rimpianti. Un’agricoltura i cui frutti dei campi sono destinati alla produzione dell’energia elettrica lascia, pur nell’assoluto rispetto delle scelte altrui e nelle esigenze sacrosante di tutelare il proprio reddito, un profondo senso di vuoto. Lo stesso che Ermanno avvertì, negli anni Novanta, quando vendette le vacche.Ogni cosa ha il proprio tempo. E ciò che resta, in definitiva, è soltanto un soffio di libertà. Ed Ermanno, sulle zolle di Cavenago d’Adda, a polmoni pieni continua ad inspirarne il profumo.

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