Nel tempio del “maestro” casaro

In questi giorni ricorre il trigesimo della scomparsa del signor Antonio Carena, che è stato uno dei grandi casari del Lodigiano, anzi un “maestro casaro”, e questa pagina sulle cascine del territorio non può che riconoscere i giusti meriti ad un uomo e ad una famiglia che, in questa splendida realtà rurale, costituiscono da oltre un secolo una punta di eccellenza.Vado alla contrada Pozzo Bonella, angolo di suggestive zolle bucoliche, in compagnia dell’amico Giacomo Rossi, una volta inseparabile in questo giro per luoghi agresti e oggi chiamatosi volontario e presente in omaggio al ricordo di Antonio Carena. Il sole è già al suo tramonto, le luci del giorno smorzano sui campi, ogni ombra nella vasta campagna assume contorni a libera interpretazione, pare di intuire gli uomini sulle zolle che si attardano nelle loro ultime fatiche giornaliere, forse ci sono davvero oppure no, mentre i primi refoli d’aria fredda suscitano il desiderio di quieti tepori.

MESTIERE DI FAMIGLIAI Carena sono casari da sempre, da quando almeno hanno memoria dell’origine del loro ceppo famigliare, risalendo a Carlo, trisavolo delle attuali ultime generazioni, uomo che nella metà dell’Ottocento girava per le cascine lombarde lavorando il latte. Tale impegno fu assunto anche dal figlio, Angelo, il quale ad un certo punto si stancò del peregrinare fra le corti, e pur avendo trovato l’amore della sua vita, Vittoria Preti, alla cascina dei Frati di Marzano, in provincia di Pavia, decise d’intesa con la moglie di togliere le tende un’ultima volta e si spostò a Pozzo Bonella, dove impiantò un proprio definitivo caseificio. Era il 1924.La scelta si rivelava coraggiosa più di quanto oggi non possa apparire: era quello il periodo in cui i casari dipendevano in tutto dagli agricoltori, dei quali sembravano sub affittuari o comunque dipendenti. Mettersi in proprio comportava sicuramente dei rischi. Pozzo Bonella era soltanto una distesa di sconfinata, solitaria campagna: nei pressi c’era soltanto un’azienda agricola di un certo rilievo, e pochi coltivatori che, ad andar bene, avevano in carico poco più che una mezza dozzina di bovine ciascuno.

UN UOMO ENTUSIASTAAngelo Carena costruì la casa, la porcilaia, e il caseificio. Era un uomo entusiasta: aveva coraggio, e senso della lungimiranza. Al caseificio cominciò ad operare in permanenza un energico “fugòn”; l’aia era stipata di fascine di legno, con le quali il fuoco alimentava la caldaia; non c’erano eccessivi strumenti, serviva l’essenziale: i pentoloni di rame su cui depositare il latte appena prodotto, attendendo che affiorasse la panna; poi il latte veniva versato nella caldaia, e dalla sua lavorazione si producevano, almeno agli inizi dell’avventura del caseificio di Pozzo Bonella, pannerone e gorgonzola. Purtroppo la moglie lasciò presto Angelo vedovo, con cinque figli a carico, tutti i maschi: lui non disarmò, ma triplicò i propri sforzi per dare un futuro ai suoi ragazzi; li amava tantissimo, e forse ne avrebbe voluti anche altri, oppure gli mancava una femminuccia da rendere principessina della casa: fu forse per questo che come marchio di fabbrica del proprio stabilimento scelse, fra tanti, il volto di una fanciulla, che ancora oggi contraddistingue le confezioni del caseificio Carena.

GIOVANI MA ESPERTIDei ragazzi, tre scelsero il percorso dei libri: Giuseppe divenne ingegnere, Carlo si diplomò geometra, e Francesco conseguì il titolo di ragioniere. Al caseificio rimasero Siro ed Antonio, che pur giovani erano già esperti: papà Angelo, infatti, soffriva di salute, e anche per lunghi periodi era costretto ad assentarsi dal caseificio. I giovani Carena erano aiutati da alcuni dipendenti, fra le cui figure è giusto ricordare due colonne storiche, che rimasero al caseificio dal primo giorno della loro attività di lavoro sino al pensionamento: Mario Paveri e Remo Savoldi. Siro ed Antonio sposarono due sorelle: Giuseppina e Rosanna Montanari, dell’omonima storica riseria di Caselle Lurani. Siro Carena era un casaro veramente dinamico: ogni tanto si arrabbiava, ma dopo essersi sfogato, gli passava tutto e ogni cosa ritornava al suo posto; era anche un uomo di compagnia, che gustava l’allegria altrui e sapeva offrire la propria; sul lavoro, oltre che energico, era anche molto curioso: aveva introdotto le produzioni di taleggio, fontina, grana e crescenza, ed amava il confronto con gli altri casari, con i quali intavolava discussioni ed approfondimenti su ogni tipo di novità e su tutto quello che potesse apportare migliorie alle lavorazioni. Il fratello Antonio gli assomigliava in qualche tratto: per quanto fosse un tipo pacifico ed alla mano, anche a lui capitava di innervosirsi, soprattutto quando aveva l’impressione che una sua direttiva non venisse presa nella giusta considerazione da qualche collaboratore. Come per il fratello, la passione per il proprio lavoro lo rendeva curioso: ad 85 anni, ancora poche settimane prima di morire, voleva essere informato su tutto dai figli e dai nipoti.

IL MAESTRO ANTONIOAntonio Carena amava infinitamente la propria famiglia, e sino all’ultimo dispensava consigli e suggerimenti. Era rimasto presto vedovo: la signora Rosanna, donna molto forte e riservatissima di carattere, era morta all’età di 58 anni, e da allora lui si era ancora più gettato a capofitto sul lavoro. Egli aveva fatto della costanza la sua principale forza: era sempre presente sul lavoro, si alzava alle 3.30 del mattino e si addormentava quando mancava poco alla mezzanotte, ma dopo pranzo cedeva ad una mezzoretta di sonnellino rigeneratore. Con il camion, carico di bidoni, usciva due volte al giorno, e la puntualità era una delle sue principali caratteristiche. Il signor Antonio Carena sul lavoro non parlava mai a caso, e conosceva molto bene il fatto proprio: sapeva riconoscere la qualità del latte soltanto osservandolo. Ma la sua attività prevalente era rivolta al contatto con i clienti, al ritiro del latte, ed al confezionamento dei prodotti, e in più aveva voluto essere lui a lavorare il mascarpone, rispetto al quale riteneva essenziale la propria personale competenza. Proverbiale era la disponibilità con gli agricoltori: sapeva comprendere le loro esigenze, e per lui l’accordo sulla parola valeva più che una firma su una carta, ogni impegno lo rispettava sino in fondo. La stessa cordialità fu mantenuta verso i clienti dello spaccio: quando qualcuno veniva a bussare fuori orario alle porte del caseificio, lui raccomandava ai figli: Mandei no indrè, perché oltre ad essere un uomo buono di cuore, aveva il fiuto del commerciante, e sapeva che il passa parola positivo era importante altrettanto come il buon formaggio.

TRE EREDI FEDELIAnche i suoi tre figli, Maria Vittoria, Cristina ed Angelo, hanno proseguito l’attività nel caseificio, adattando l’impegno con le esigenze dei tempi correnti; se infatti la porcilaia non conosce sosta, sull’attività casearia quantomeno i riposi festivi sono stati introdotti, anche solo per tirare il fiato la domenica: un sistema moderno di stoccaggio del latte, per la sua fresca conservazione, garantisce la freschezza nella produzione dei formaggi. I Carena però, senza essere certo dei nostalgici, hanno mantenuto le tradizioni, come l’uso artigianale delle mani per alcuni tipi di formaggi, anche per il pannerone, per il quale serve il latte di alta qualità, fornito dalla cascina Pagnana di De Vizzi, sita a Castiraga Vidardo. A loro, si sono aggiunti già alcuni figli, mentre gli altri studiano ancora ma esibiscono comunque buone doti e verranno utili per il futuro del caseificio: qui lavora Eleonora, la figlia di Maria Vittoria, che ha 29 anni e le competenze di una veterana; e poi c’è suo fratello Cesare, che fa l’agricoltore a tempo pieno nella cascina del padre, ma quando può si offre per ritirare il latte presso i vari conferenti. Quindi ci sono i figli di Cristina: Edoardo, 16 anni, che studia all’istituto agrario di Codogno e nel futuro si immagina pilota di... trattori!, e sua sorella Matilde, di 12 anni. Infine, i figli di Angelo: gemellini di 2 anni e mezzo, Antonio Siro ed Adriano, che per ora il formaggio si limitano a... mangiarlo! È la quinta generazione dei Carena, questa: ho avuto modo di confrontarmi con due ragazzi ed hanno l’orgoglio delle tradizioni, il senso della misura, la profonda consapevolezza di un’appartenenza. Il futuro è già disegnato, le impronte degli avi ben impresse nella memoria del cuore, non solo nell’albero genealogico.

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