La scommessa del riso Montebuono

Un destriero per il mio maniero! Una volta la cascina Montebuono - alla frazione Ranera di Sant’Angelo Lodigiano - apparteneva all’arcivescovo Giovanni Visconti, signore di Milano. Questi era un uomo di grande potere, amante delle belle arti, ed amico del poeta Petrarca. Figura per certi versi contraddittoria, operò edificando conventi, ospedali, chiese, sia per rafforzare la propria Signoria che per la propria salvezza spirituale, segno quest’ultimo che temesse castighi per qualche sua azione. Milano sotto la sua giurisdizione acquisì un’enormità di terre, e molte di loro furono nelle sue disponibilità personali. Fra queste, appunto, la cascina Montebuono. È più che sicuro che l’arcivescovo Visconti non venne mai a visitarla. Anzi, nel 1352 decise di donarla a suo nipote Giovanni Galeazzo, ma gli chiese in cambio un cavallo purosangue, nato ed allevato Oltralpe, probabilmente da destinare a chi sino a quel tempo aveva condotto la possessione.Molti anni dopo la cascina divenne proprietà del conte Bolognini. Ancora nell’Ottocento era abitata da quindici contadini.

Un giovane di spiritoTutto questo glorioso passato, il giovane Riccardo Quaini - che oggi cura i terreni e sovrintende alle proprie risaie come un comandante di mare la propria scialuppa - credo non le sappia. La sua famiglia ha acquistato la corte dalla famiglia Cerri di Cerenzago, nel 2009. Però Riccardo è molto determinato a ridare splendore a questa vecchia cascina, in parte diroccata, ma già puntellata nella stalla, affinché riacquisti il proprio decoro. Coraggioso, dunque, questo ragazzo: a ventitré anni, prossimo di titolo accademico col dottorato in Agraria, poteva comodamente seguire l’attività del papà Mauro, che ha una conosciuta ed apprezzata concessionaria d’auto a Castiraga Vidardo, ma al contrario ha deciso di seguire la propria passione e di fare l’agricoltore.Le radici non si disperdono probabilmente. Nel ramo materno c’era l’impronta bucolica: il nonno materno di Riccardo si chiamava Pietro Mai, agricoltore della cascina Calvenzano di Caselle Lurani. Riccardo è cresciuto in cascina: sua mamma Cecilia in estate lo affidava ai nonni e ai fratelli Angelo e Cesare, anche loro agricoltori appassionati. Riccardo in parte si divertiva - perché per i ragazzi ogni cascina è tutto un mondo da esplorare - e in parte imparava il mestiere.

Una scommessa coraggiosaNel 2009, quando i Quaini acquistarono la possessione Montebuono, Riccardo soppesò ogni cosa coniugando intuiti e prudenze. Gli sarebbe piaciuto avviare i campi a risaie, ma gli appezzamenti avevano poca possibilità d’irrigazione. Portò pazienza e prese a coltivare frumento. Poi, acquisiti altri terreni, questi più raggiungibili dalle acque che fluiscono dal vicino Cavo Marocco, realizzò i propri progetti.Riccardo Quaini ha l’ottimismo dei ragazzi tenaci: sa che, in generale, quest’anno il riso non ha mantenuto le attese, nei ricavi, che gli agricoltori s’attendevano. Ma ha imparato a stringere i denti e ad accettare le volubilità del mercato: domani potrebbe già andare meglio. Altri hanno già mollato. E c’è chi ha diminuito i propri investimenti, puntando su qualità surrogate di riso. Riccardo Quaini ha pensato invece di raddoppiare i propri sforzi. Intanto, per fronteggiare le incognite ha differenziato il proprio impegno; così, parte del riso lo vende all’ingrosso, ed altra parte lo destina al dettaglio, promuovendo il marchio del riso “Montebuono”, raggiungendo clienti selezionati o recandosi direttamente ai mercati e alle fiere promossi nei vari paesi.Il riso coltivato da Riccardo Quaini ha l’identità carnaroli oppure è arboreo, buono cioè per i risotti. Infatti, è dall’autunno alle porte di Natale che Riccardo gira per i vari luoghi di vendita. Il mercato è una porta fondamentale per conoscere gusti e tendenze della società contemporanea: per cucinare un buon risotto ci vogliono almeno quarantacinque minuti di preparazione, mentre la gente oggi ha meno tempo, per se stessa in generale, e maggiormente per curare la propria alimentazione, mentre il piacere del mangiare sano, della buona tavola, dovrebbe essere una prima e fondamentale regola. Riccardo, allora, durante quei mercatini, non è soltanto un agricoltore, e neppure un commerciante, ma un maestro enogastronomico, che può dare il consiglio giusto, la ricetta opportuna, il suggerimento di remoto sapere che rende un piatto più appetibile dall’aroma eccellente.E non è dunque un caso che i mercati che danno più soddisfazione a Riccardo sono quelli più piccoli: certo, tempo fa è stato a Brescia, e lungo le strade fluiva una marea di gente, e le vendite erano più facili, ma è nei piccoli centri che la gente si ferma ancora a conversare, e chiede consigli, e s’informa sui tempi di cottura e sulle spezie più valide da utilizzare.

Un impegno intensoRiccardo, essendo veramente appassionato del proprio lavoro, si dilunga nei particolari. Gli piace seguire tutte le fasi del lavoro, dalla semina alla vendita, potesse si fermerebbe a cena anche da chi compra il suo riso, per commentarne la qualità e vedere dove si può ancora migliorare.L’impegno di risicoltore si fa particolarmente intenso in primavera, già dalla metà di aprile, o comunque entro i primi del mese di maggio: in questo periodo si procede all’aratura, cioè si ribalta la terra, e poi si avvia l’erpicatura, vale a dire si rompono le zolle residue, proprio per preparare ulteriormente il terreno alla semina, per livellarne la superficie. È un’attività che prevede almeno due giornate di lavoro, poi ovviamente dipende dalla quantità dei terreni su cui si deve intervenire.Quindi si guarda il cielo, si ascoltano i bollettini meteo, e si spera nelle giornate giuste per la semina. Anche quello successivo all’interramento dei semi è un tempo di attesa: entro i successivi quindici giorni dovrebbero infatti nascere le piantine. Da qui - si è quasi sul finire di maggio, solitamente - si procede alle irrigazioni: ogni due settimane si allagano gli appezzamenti, in modo che la superficie resti sempre bagnata. Tra un’irrigazione e l’altra si provvede alle attività di concimatura, e all’occorrenza di diserbo. A metà agosto si lasciano asciugare le risaie e si attende che il riso maturi: ancora dunque una trentina di giorni di attesa. Quindi il lavoro viene affidato ad un contoterzista per la raccolta: la parte destinata alla vendita al dettaglio viene consegnata ad un’azienda per la pulitura e la pilatura, poi raccolta in sacchetti pronta per essere posta sul mercato.

Voglia di cambiamentoCerto, non è solo dalla coltivazione del riso che Riccardo Quaini ha imparato il tempo delle attese e quello delle raccolte. Lui vorrebbe cambiare questo posto. È vero che parallelamente accompagna la crescita delle competenze professionali, sa che la laurea in Agraria lo aiuterà a trovare sbocchi collaterali, come li definisce lui stesso, ma il suo sogno è quello di ampliare la possessione della Montebuono, di avere altra terra per il suo frumento e, sopratutto, per il suo riso.Riccardo mi accompagna a visitare le zolle della propria terra: di là, sulla sinistra, il verdeggiare delle piante di riso, prima che le loro spighe svettino in biondeggianti traiettorie; tutto è avvolto dal sole, è uno dei pochi pomeriggi caldi che sinora l’estate ha concesso.Osservo la casa padronale. Negli ultimi anni che fu abitata era divisa in due parti. Essa mantiene inalterato tutto il suo fascino, anche se negli ultimi decenni il cuore pulsante delle precedenti aziende agricoli batteva solo nel lato della stalla, e così le persine serrate rivelano un ambiente chiuso in se stesso. È come se questo luogo fosse stato per anni imprigionato nei grovigli dei rampicanti e attendesse solo l’arrivo di un cavaliere che ne prendesse a cura le sorti ed il destino futuro. Riccardo Quaini sa che può interpretare quel ruolo. Ha mostrato di avere il giusto coraggio e la necessaria dote di ambizione. Guarda alla casa e accenna ai suoi progetti. Dalla coltivazione del riso ha imparato che ogni cosa avverrà quando le condizioni saranno mature. Ci volle un cavallo di razza a Giovanni Galeazzo per acquisire questa corte. A Riccardo Quaini occorrerà qualcosa di diverso per restituirla allo splendore di una volta: intanto, ha cominciato valorizzando i suoi campi. Personalmente, non vedo l’ora che giunga l’inverno. Quarantacinque minuti per un risotto, col marchio “Montebuono”. Ne assaporo mentalmente il gusto. Il piatto sarà servito.

© RIPRODUZIONE RISERVATA