La vita di corsa del signor Pedro

Antonio Pedrazzini, per tutti gli amici semplicemente “Pedro”, da anni il custode delle memorie della cascina San Maurizio di Somaglia, ha da poco compiuto i 63 anni senza per questo scalfire la sua espressione di ragazzo vivace e dinamico. Pedro è uno che la vita l’ha sempre affrontata di corsa, sin da bambino, quando per sfuggire alla fame non aveva altro rimedio che correre, cercando di raggranellare qualche soldo in mille servigi, così che almeno per cena, in tavola, vi fosse qualcosa da mangiare. Quella delle vecchie generazioni dei Pedrazzini sembrava una famiglia segnata dalla malasorte e dalla sfortuna: il nonno, soldato al fronte nel conflitto del ‘15-’18, era tornato a casa menomato, con il titolo di invalido di guerra; la nonna era cieca; la mamma di Pedro s’era ammalata di sclerosi multipla; il padre, anch’egli, era cagionevole di salute, entrava ed usciva dai sanatori, ma aveva un carattere indomito e quando poteva, se le forze non gli venivano meno, lavoricchiava in campagna. Tre fratelli di Pedro erano morti giovanissimi. Restavano lui ed una sua sorella.

UN LAVORO PRECOCEOra, pur se il più piccolo d’età, a quella famiglia di sventurati doveva per forza pensarci Pedro. Così lui andava a raccogliere le fascine di legno, portandole in segheria dove raccoglieva i trucioli affinchè in casa ci si potesse scaldare, e accompagnava le bovine al pascolo svolgendo attività di guardiania. Correva Pedro, per guadagnare qualche soldo, e sfuggire così ai morsi della fame, che gli aggredivano la pancia. Eppure, malgrado tutto, quelli erano tempi felici, quando Vittadone appariva agli occhi di Pedro come una metropoli di mondo: perché alla sera, e nei giorni festivi, le osterie si riempivano di gente, e bastava che a qualcuno venisse l’idea di organizzare una gara, qualunque essa fosse, che la frazione popolata da settecento abitanti venisse invasa da duemila persone, provenienti dai paesi vicini. Le Feste dell’Unità, poi, erano un evento che mobilitava una marea di popolo, non solo i comunisti, venivano tutti, anche gente forestiera, che non aveva probabilmente colore politico, ma cercava un motivo di distrazione.

LA “CONVERSIONE”Divenuto in fretta adulto, Pedro trovò lavoro come operaio metalmeccanico e si spostò nel Cremonese. Continuava però a correre, perché aveva la mamma da assistere e dopo una giornata in fabbrica, prima di raggiungere la propria moglie, passava da Vittadone. Giorni sempre uguali, e sempre di corsa. Finchè, si era poco dopo la metà degli anni Settanta, si sentì stanco e decise che non era il caso di continuare a correre così, e che fosse opportuno riavvicinarsi a casa. Provò a cercare un appartamento, ma i costi erano esorbitanti: il mondo sembrava impazzito. In quel periodo le uniche case a prezzi abbordabili erano quelle coloniche delle cascine, abbandonate dalla manodopera emigrata verso l’industria. Pedro provò a bussare a quelle porte, ma le risposte erano sempre uguali: di case libere ce n’erano, ma solo per chi intendesse lavorare in agricoltura. Allora, Pedro s’ingegnò e, sfilandosi la tuta di metalmeccanico, si disse disponibile a lavorare in campagna come trattorista. Dopo tutto sterzo, freno, frizione, e pedale a tavoletta, non sarebbe stato difficile imparare a governare un trattore! Fu preso in prova per otto giorni alla cascina Castello di Somaglia. E in quella settimana Pedro corse come mai aveva fatto nella sua vita per guadagnarsi un attestato di stima, e cominciare una nuova vita. Fu assunto.

DAI MOTORI ALLA STALLAOltre a guidare il trattore, fu coinvolto nella gestione della stalla. In quella cascina - proprietà della nobile famiglia dei Pallavicino - prelevate da una possessione in Canada, che apparteneva alla stessa azienda agricola, giungevano manze di eccellente morfologia; qui venivano ingravidate, con l’idea di vendere, prima del parto, la bovina ad acquirenti desiderosi di ampliare i propri allevamenti con bestie di razza. Ma invece che per le bestie gravide, le preferenze dei compratori andavano per le giovani manze. Accadeva così che frequentemente alla cascina Castello nascessero vitelli, tanto che le attività di mungitura, inizialmente escluse, quasi presero il sopravvento. La proprietà pensò allora di dedicarsi alla vendita di manze comprese dai sei ai novi mesi. Il centro vendita sarebbe stato appunto alla cascina San Maurizio, dove Pedro Pedrazzini fu trasferito. La cascina San Maurizio era andata in disuso, dopo che i precedenti affittuari - i Toninelli - avevano rivelato una propria corte. Ma purtroppo, quando principiavano gli anni Ottanta, il mercato delle bovine fu caratterizzato da un’evidente flessione, ed il progetto non decollò.

NUOVE RADICIPedro però s’era ormai abituato a vivere alla cascina San Maurizio e nessuno gli chiese di levare le tende. La proprietà, come gli altri beni della famiglia Cavazzi, era della contessa Guendalina, che aveva sposato il marchese Pallavicino. Oggi appartiene al principe Domenico Pallavicino. Pedro ricorda l’eleganza della contessa Guendalina, che almeno una volta all’anno prendeva il taxi e partiva da Genova per visitare i propri possedimenti e fare una tappa al cimitero di Somaglia, dove rendeva omaggio ai parenti ed agli affetti. Quando arrivava alla cascina San Maurizio, per prima cosa, la contessa gradiva un tè. Il principe Domenico, invece, nelle frequentazioni è stato meno assiduo. Pedro l’ha conosciuto dopo quasi quarant’anni - tra la cascina Castello e quella di San Maurizio - di apparente mistero: si è trovato davanti un omone, alto ed elegante. Pedro aveva soggezione di trovarsi davanti un principe, suo principale per giunta. Invece ha scoperto una persona gentile, affabile, semplice nei modi e nei gusti.

TRA LE ROBINIEIntanto eliminata la stalla, l’azienda agricola ha privilegiato l’attività cerealicola, con produzione di orzo, frumento, mais e soia. Ma Pedro, finite le sue ore di lavoro sui campi, ha ripreso il gusto di correre, sempre alla ricerca di aumentare i propri quattrini, questa volta non per fare sgambetto alla fame, ma per mantenere due figli, dando loro le giuste opportunità: Anna ha frequentato l’Università, fa la psicoterapeuta e lavora in un carcere del Veneto; Cristian, invece, si è diplomato perito meccanico, e svolge un ruolo di responsabilità in una ditta di autotrasporti.Per pagare gli studi ai ragazzi, Pedro si è ingegnato in mille modi. Ma forse ha solo cercato una scusa a quel suo atavico bisogno di fare, di correre per essere più veloce del tempo. Si è ricordato del tempo delle fascine, ed ha avviato un attività di boscaiolo, persino con partita Iva. Il lavoro gli piace perché sta in mezzo alla natura, malgrado certe volte si senta la schiena a pezzi. La sua idea è che ogni mille ettari di terra, cinquanta dovrebbero essere destinati a piantumazione di buon legname, robinie, rovere, olmi, faggi, noci, alberi del territorio, che hanno buona presa. Il suo arbusto preferito è la robinia, che quando se ne taglia una, altre dieci germogliano, ed è legno buono da ardere, come il rovere, che però per ricrescere impiega cent’anni. Ogni riva, andrebbe piantumata almeno da un lato, così da rinverdire un territorio che ha smarrito la sua originaria identità.

L’OCA E L’ASINOSempre per mettere qualche denaro da parte, Pedro si è dedicato anche alla pesca. Sa costruire e riparare barche. Confeziona nasse e reti da pesca. È stato un eccellente pescatore di anguille, prima che esse sparissero dai nostri fiumi; è accaduto, in particolare, dopo l’alluvione dell’anno 2000; da quella data la media si è abbassata, si a fatica ad arrivare ai 5 kg, e Pedro conosce bene le ragioni, non riconducibili esclusivamente alle prepotenze del pesce siluro. Cinque kg fanno ridere rispetto al passato. Negli anni Settanta, con 40 nasse si pescavano sul Po dai 15 ai 20 kg; con 15 nasse sull’Adda si potevano prendere sino ai 60 kg di anguille alla settimana. In ogni caso, oggi la vita del pescatore è divenuta più grama da queste parti. Di certo, non si potrebbe mantenere una figlia all’università. In un recinto della cascina, Pedro ha messo i suoi animali: gallinelle, un paio di caprette, alcune oche, un asino e, più in là, in una stalletta, cinque vitellini. Mi mostra l’oca che ha perso la propria compagna, divorata da una volpe, e rimasta da sola ha trovato consolazione nell’amicizia con l’asino. Oca ed asino sono divenuti inseparabili, stanno sempre insieme, non si dividono mai. E, davanti a quell’amicizia, Pedro rallenta la propria corsa. Sorride. Senza necessità di aggiungere parole.

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