La Cascinazza del signor Manzoni

Non decido ad andarmene. Prendo le distanze e torno indietro. Rallento i miei passi, già mogi di loro. C’è una relazione tra i pensieri e i propri passi. Il mio camminare è posato perché la mia testa è aggrovigliata di riflessioni sempre nuove, e me tocca mettervi ordine. E, per riuscirvi, ho bisogno di camminare piano. Di fermarmi all’improvviso. Ora sto ammirando da minuti che si allargano a decine, la bellezza della cascina Cascinazza di Mulazzano. E sto provando ad immaginarla com’era negli anni del suo miglior lustro. In questa corte è passata tantissima storia, che oggi sarebbe un miracolo poter ricostruire. E i miracoli, parliamo di eventi straordinari ovviamente, talvolta si avverano.

DA CINQUE SECOLIHo conosciuto così l’ingegnere Giovanni Canzi, nativo di Mulazzano e dove ha vissuto a lungo prima di trasferirsi a Melegnano, che sul suo paese d’origine ha scritto un libro, dove, attraverso lo studio di documenti, atti, pergamene, ha più volte ripreso le vicende della corte Cascinazza, situata all’uscita del paese, sulla strada provinciale che conduce a Milano.Le prime notizie storiche risalgono all’anno 1523, quando è accertato che la corte, di proprietà degli eredi della defunta signora Cosina Berna di Milano, è concessa da tempo in affitto a Filippo Baldironi.Questo signor Baldironi, pace all’anima sua, ad un certo puntò trovò stancante la gestione della possessione e decise di subaffittarla: per 25 soldi e 6 denari trasferì l’affittanza di 700 pertiche a cinque fratelli, il cui cognome era Piperno.Questa famiglia a Mulazzano era ben conosciuta e stimata. Uno di loro, Gerolamo Piperno, era stato rappresentante del Comune. Il Piperno più apprezzato - nato alla fine del secolo sedicesimo - si chiamava Giulio e a lui gli fu pure intestata una strada.

UN SOLDATO DI VENTURAGiulio Piperno - mi racconta l’ingegnere Canzi - s’era arruolato militare come soldato di ventura. In quelle truppe - caratterizzate per svolgere attività mercenarie - si trovava ogni specie di genere umano: il mestiere era rischioso, ma poteva garantire soddisfazioni e soprattutto guadagni. Il soldato Giulio Piperno militò, al soldo di non si sa quale condottiero, nel Nord dell’Europa, dove trascorse numerosi anni, e dove ebbe modo di esaltare tutto il proprio coraggio, assurgendo, da soldato semplice, al ruolo di tenente colonnello. Il suo carisma non sfuggiva neppure alle donne: sposò una fanciulla di Bruxelles e si stabilì definitivamente in Belgio. Giulio Piperno però non perse mai i propri legami con Mulazzano: qui aveva mantenuto i propri interessi, e nel 1648 lasciò in eredità alla parrocchia del suo paese un campo denominato “il Farinazzo”, a patto che ogni anno fossero celebrate sei messe in suffragio del suo ricordo. Duecento anni dopo continuavano ad essere officiate! Tanta zelante devozione potrebbe spiegarsi con la circostanza - a pensare male si fa peccato ma ci sia azzecca - che questo Giulio Piperno qualche mancanza in vita l’avesse commessa e ciò lo atterrisse, pauroso com’era dell’inferno; per questo, per acquisire meriti futuri, aveva persino disposto una donazione perpetua verso due giovani povere, una di Lodi e una di Mulazzano, come dote per il loro matrimonio o sino al loro ingresso in convento, qualora avessero deciso di farsi monache, ponendo una sola condizione: recitare ogni giorno cinque Pater ed Ave gloria in onore della cinque piaghe di Nostro Signore! Un successivo documento pubblico, riguardante la cascina Cascinazza, risale invece al 1610, dove il nuovo proprietario della corte, Quintilino Cernuscolo, decurione di Lodi, affitta la possessione di 1100 pertiche a Paolo Gerolamo Brusati, abitante a Melegnano. Più che fare l’agricoltore, il signor Brusati era un possidente: infatti la terra rimase in gestione a due “massari” che la gestivano già in precedenza, e l’accordo con la proprietà prevedeva che, successivamente, Brusati avrebbe potuto cedere l’affittanza a chi avrebbe ritenuto più opportuno. Il dettaglio dell’accordo prevedeva una durata di nove anni, con rate da corrispondere a Pasqua ed a San Martino, per un totale di 4 lire e 3 soldi per ogni pertica.

LA SIGNORA GIULIAMezzo secolo dopo la cascina Cascinazza è di proprietà della famiglia Carcano, che la terrà per oltre centocinquant’anni. E fu proprio uno di questo ramo, Giuseppe Carcano, a vendere la cascina a Giulia Beccaria, mamma dello scrittore Alessandro Manzoni.La signora Giulia aveva avuto una vita sentimentale alquanto travagliata, e l’ultimo suo uomo - dei tre amori avuti, uno legale e gli altri due clandestini e sicuramente sconvolgenti in quanto a sensi e passioni - morendo, l’aveva lasciata beneficiaria di una discreta sommetta. Con questa disponibilità la signora Giulia aveva acquistato, appunto, la cascina Cascinazza ed un’altra azienda agricola a Dresano: l’atto - racconta l’ingegnere Canzi - è registrato al Catasto nell’aprile 1808, ma il contratto di acquisto, registrato davanti al notaio milanese Giorgio Castiglia, è datato 11 giugno 1807 e porta la firma, per Giulia Beccaria, di un certo Francesco Zinammi, come suo procuratore.Giulia Beccaria e il figlio Alessandro affittarono la corte ai fratelli Legnani, e successivamente a Giuseppe Caremoli. La possessione Cascinazza divenne una sorta di borsellino, una rendita su cui contare. Ma la solidità finanziaria di Alessandro Manzoni cominciò ad attenuarsi alla morte della madre, avvenuta nel 1841, e soprattutto a seguito di alcune disastrose operazioni finanziarie condotte dai suoi figli, che mantenevano una vita sociale agiatissima e forse al di sopra delle proprie effettive possibilità.Alessandro Manzoni, a quel punto, per ripianare i deficit finanziari dei figli, cominciò a pensare di disfarsi dei terreni della Bassa e delle possessioni sino allora mantenute del Lodigiano. Ma le trattative di compravendita s’impantanarono creando non pochi crucci allo scrittore. Le cascine più che un luogo dove riposare per qualche giorno dagli affanni letterari, diventarono motivo di ansia. Nel 1873, all’età di 88 anni, Manzoni morì senza essere riuscito ad alienare le possessioni.

LA CONTESSA “DISTRATTA”La cascina Cascinazza viene intestata ai due figli rimasti viventi edagli eredi degli altri già deceduti. Due anni dopo la possessione riesce finalmente ad essere venduta: nuova proprietaria è la contessa Ippolita Bethlen già vedova di un Gonzaga di Vescovado, e poi sposata al nobile Giovanni Frigerio, da cui ebbe il figlio Giannino, noto per essere stato un alto graduato dei Lancieri di Montebello.La contessa non si curò granchè della corte, tanto che il sindaco di Mulazzano per prevenire i rischi di colera e di pellagra le intimò di adeguare gli ambienti a condizioni maggiormente salubri. La contessa rinnovò l’affittanza alla famiglia Caremoli - già affittuaria del Manzoni -, e in particolare al signor Giovanni, il quale anche lui, dopo tutto, è passato alla storia per un contenzioso con il Comune di Mulazzano. In quel tempo infatti era d’uso che l’ente istituzionale ordinasse di fornire beni ed animali da tiro all’esercito austriaco. Caremoli ottemperò all’obbligo, concedendo due carri e due cavalli: quattro mesi dopo, gli furono restituiti un carro mezzo rovinato, e i due cavalli, talmente ammalati, che in poco tempo morirono, mentre del secondo carro nessuno ne seppe più nulla. Giovanni Caremoli, che come tutti gli agricoltori era un tipo battagliero, fece immediatamente causa al Comune intimandogli un rimborso pari a 2.159 lire: il paradosso fu che riuscì ad avere ragione, con un acconto pari a 185 lire, mentre delle rate successive non vide neppure l’ombra.

IL NOVECENTOIntanto agli inizi del Novecento la proprietà era della famiglia Parapini e successivamente dei Parodi. Come affittuario di questi ultimi, nel 1933 venne il signor Carlo Corradini, agricoltore che aveva sino a quel tempo operato in cascine del Milanese. Egli era un uomo esperto e impresse all’azienda agricola, che aveva un indirizzo zootecnico, un’identità ben precisa. Il signor Carlo era sposato con Luisa Moro, pavese, il cui papà Giovanni aveva svolto l’attività di cesellatore ed era stato chiamato a compiere lavori di ristrutturazione per i portali e le finestre della Certosa di Pavia. La coppia aveva avuto due figlie: Enrico e Maria Luisa. Quando nel 1958 all’età di 66 anni il signor Corradini morì, la conduzione dell’azienda passò alla figlia Maria Luisa: ella aveva studiato al Collegio delle Dame inglesi di Lodi ma riuscì ad assumere immediatamente dimestichezza con le attività agricole e, pur trovano l’impegno faticoso, riuscì a valorizzare ulteriormente l’azienda agricola. La possessione nel frattempo è divenuta proprietà della famiglia Dozzio Cagnoni.

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