La corte “gioiello” del Navazzone

Quando, tramite un fattorino, il podestà di San Fiorano lo mandò a chiamare, Giovanni Uccellini la sera precedente all’incontro non riuscì a chiudere occhio; alle due e trenta della notte si sarebbe alzato per andare in stalla a mungere le vacche, e qualche ora di sonno gli sarebbe servita. Ma assolutamente non gli riusciva di addormentarsi. Sua moglie, Giovanna Lucchini, che lo conosceva da anni, sapeva quanto fosse uomo probo ed onesto, ma il fatto che il podestà gli avesse intimato di presentarsi a mezzogiorno in punto dell’indomani, aveva fatto sì che qualche diffidenza le fosse subentrata e, prima che le sue palpebre cedessero di schianto, aveva provato ad interrogare il marito, affinché ripassasse nei minimi particolari tutti i più piccoli dettagli delle sue ultime giornate: aveva mancato di rispetto a qualche gerarca? Oppure ignorato un ordine del suo capo mungitore? O s’era intromesso in vicende che non lo riguardavano? O, peggio ancora, si era forse professato di sinistra? Magari lì, all’osteria, quando i fumi alzano gli spiriti, e si dicono cose che magari si pensano ma che sarebbe bene tacere assolutamente, anche all’amico più fidato? Giovanni Uccellini scuoteva la testa, continuando ad alludere che no e poi no, lui dalla cascina Navazzone non s’allontanava mai, se non per andare in stalla. Soprattutto una domanda arrovellava le menti dei due coniugi: perché mai un podestà doveva convocare un povero contadino, se non per un fatto che si sospettasse gravissimo?

UNA NOTIZIA INATTESAA mezzogiorno in punto dell’indomani, ora stabilita per l’incontro, Giovanni Uccellini, pallido, tiratissimo in volto, e con gli occhi che sembravano schizzargli dalle orbite, attraversò l’androne del municipio, e si presentò al signor podestà. Stranamente non fece neppure un minuto d’anticamera. L’alto ufficiale lo ricevette con fare spiccio e con un finto, fintissimo compiacimento dipinto sul volto. La notizia che doveva comunicargli era di quelle da fare tremare i polsi: il duce in persona attendeva lui e la sua gentilissima consorte con lo scopo di premiarli per avere messo al mondo undici pargoletti! La cerimonia, organizzata dall’Opera nazionale maternità ed infanzia, avrebbe visto altre 92 coppie provenienti da ogni parte d’Italia, e sarebbe avvenuta in occasione della “Giornata della madre e del fanciullo”. Uccellini rimase con la stessa identica espressione di quando era entrato nella stanza: semmai sempre più pallido. Lui ad andare a Roma non ci pensava neppure, si sarebbe dato malato, avrebbe trovato una scusa, ma da San Fiorano non si sarebbe mosso. Tuttavia, quando raccontò alla moglie la ragione della sua convocazione, ella allungò un sorriso radioso sul viso: dopo tutto, i figli li aveva messi lei al mondo, e poi quando mai sarebbe più capitato di andare a Roma, spesati di tutto punto, e ricevuti in pompa magna dal capo del governo in persona?! E mentre diceva queste cose al marito, cercava nell’armadio il capo d’abbigliamento più bello che potesse indossare per l’evento. A vincere ogni ulteriore possibile resistenza pensarono i contadini della corte Navazzone, che una volta sparsasi la notizia, cominciarono a complimentarsi con gli Uccellini, ad incensarli, e persino ad invidiarli.

DAVANTI AL DUCESenza neanche rendersene conto, la macchina organizzativa era partita: un fotografo era stato incaricato di ritrarre gli Uccellini, non solo nel loro quadretto famigliare, i coniugi e gli undici marmocchi, ma persino durante il viaggio. Ad ogni scatto, Uccellini e signora dovevano alzare il braccio destro e tendere la mano, a guisa del più imperioso saluto fascista, ma mentre lei era disinvolta, Giovanni non azzeccava una mossa: ora alzava il braccio sinistro, e ciò aveva destato nel fotografo fortissime perplessità e la paura di trovarsi davanti ad un non dichiarato rivoluzionario comunista, adesso allargava distrattamente le dita della mano, in una postura più da compagnone che non da camerata. Quando arrivarono a Roma, ed era una vigilia di Natale, diluviava sotto ad un cielo plumbeo e così nero come in pianura non s’era mai visto. Uccellini pensava al tepore della stalla e immalinconiva. Il duce, sovrastando l’inno dei “figli della lupa”, fece un discorso sbrigativo, di cui il signor Giovanni colse soltanto un vago senso di retorica. Solo il sorriso della moglie lo rincuorava. Ma quando rientrò a San Fiorano giurò a se stesso che da lì non si sarebbe mai più schiodato.

LA RISTRUTTURAZIONEGiovanni Uccellini era alle dipendenze dei Polenghi, e quindi dei loro eredi, da moltissimo tempo; d’altra parte chi arrivava qui, è perché aveva avuto delle buone referenze e, una volta sistematosi, non aveva motivo di andarsene in quanto i padroni trattavano non bene, ma benissimo i loro dipendenti. Proprio in virtù di questa positiva relazione, a San Fiorano era stato ristrutturato il vecchio cascinale utilizzato per gli alloggi dei contadini: gli ambienti infatti erano ormai corrosi dall’umidità, i muri crepati, i tetti in parte diroccati, l’aia piena di buche. Al nuovo insediamento, in memoria del commendatore Polenghi, gli eredi Botturi attribuirono la denominazione di cascinale Paolo. Per tutti, però, il nome d’uso fu Navazzone, che si tramanda ancora oggi. La ragione è da ricercare nella fontana, strutturata ed inizialmente utilizzata come lavatoio, che fu posta sul lato meridionale dell’aia. Nell’osservarne la costruzione i contadini rimanevano sbalorditi perché quella vasca così ampia sembrava loro una navazza, utilizzata all’epoca per pigiare l’uva. Da qui, appunto, il termine coniato in “navazzone”. L’opera complessiva di ristrutturazione seguiva all’alto monito del capo del governo di ruralizzare l’Italia. I lavori – come mi ha spiegato il professore Marco Raja, memoria storica di San Fiorano e testimone di queste vicende - cominciarono nel settembre 1928 e durarono sino all’agosto dell’anno successivo. Il vetusto edificio constava inizialmente di sedici case coloniche, con ripostiglio e piccolo forno annesso, pollaio e porcile. A seguito degli interventi, vi furono ambienti che passarono da uno a tre camere, e tutte le abitazioni ebbero il bagno con la doccia. L’intero stabile fu dotato di corrente elettrica. Furono inoltre coperte le rogge attigue, principale causa dell’umidità. L’esecuzione dei lavori fu assegnata alla ditta Fratelli Tansini di Codogno, mentre i graffiti, di indubbia eleganza, adornanti le pareti esterne degli edifici, furono commissionati ad una ditta di Cremona.Le architetture della cascina resero la struttura, nei portali d’ingresso, nelle finestre, nelle decorazioni, assai simile agli edifici del paese di Grazzano Visconti, e diedero alla comunità di San Fiorano un tocco di accattivante ed armoniosa originalità.

IL CINEMA-TEATROMa gli eredi Polenghi, nell’immaginare il rinnovato benessere dei propri dipendenti, andarono anche oltre, e dotarono il cascinale di un ambiente per il teatro. I proprietari intendevano così dare una distrazione ai contadini, che altrimenti trascorrevano i pomeriggi di festa nelle osterie, prendendo terribili sbronze, che avevano poi ripercussioni nelle famiglie. Ma il cinema era ambito da tutti, non solo dagli abitanti del cascinale, e spesso si creavano file interminabili per potere accedere: veniva così occupato ogni spazio del locale, sino all’inverosimile. Le poltroncine, non certo per casualità, furono fatte pervenire proprio da Grazzano Visconti, e il complessivo ambiente era davvero bello. Inizialmente la sala fu utilizzata come cinema: il sabato pomeriggio o la domenica si proiettavano film muti, con l’accompagnamento del suono della pianola, ai cui pedali manovrava la maestra Pagani, che giungeva appositamente da Codogno. Durante la guerra il locale fu saccheggiato, ma non perse la propria destinazione. Tutt’ora la famiglia Cipelletti, proprietaria del cascinale Paolo, o Navazzone che dir si voglia, e che è parte integrante della più ampia possessione del Podere San Fiorano, offre la disponibilità della sala per convegni, mostre e riunioni ed è dunque rimasto un gioiello per l’intera comunità sanfioranese.Tutt’ora ai turisti di passaggio, questo insediamento viene mostrato quale perla del territorio. Ma se ad un giovane sanfioranese si chiede dove sia ubicato il cascinale Paolo è probabile che dia una scrollata di spalle. Perché, ormai, nella memoria di tutti, questa superba costruzione è solo ed esclusivamente il Navazzone.

© RIPRODUZIONE RISERVATA