Il podere dei sogni del dottor Perazzo

A Villa Maria di San Colombano un “eden” di frutta e verdura

E’ un piacere inaugurare - in questo scorcio d’inizio del 2012 - i miei nuovi viaggi nelle cascine del Lodigiano incontrando Gianfranco Perazzo; perché egli è un uomo che, nella sua vita, ha saputo sempre interpretare il senso della svolta, cambiando quando c’era da cambiare, imparando dai propri errori, non temendo mai nulla e facendo sì che gli altri lo apprezzassero sempre per la sua onestà e la sua caparbietà. Vado a trovarlo nella sua suggestiva dimora del podere Villa Maria di San Colombano al Lambro, dove il signor Gianfranco ha realizzato, nel corso degli anni, un’azienda agricola ad indirizzo orto-floro-frutticolo e con grandi finestre aperte sul futuro.

DAL PIEMONTE

I Perazzo sono originari del Piemonte. Il capostipite che memoria ricordi si chiamava Eusebio Perazzo, era ingegnere, ma aveva scelto di fare l’imprenditore agricolo; aveva avuto sei figli maschi: tre s’erano laureati in medicina, e i restanti tre in chimica e farmacia. Alcuni di loro erano stati coinvolti nelle guerre del primo Novecento. Come il primogenito Giuseppe, colonnello medico, arruolato nella Grande Guerra e in quelle d’Africa. O come il secondogenito, Domenico, maggiore e anch’egli medico, che era stato fatto prigioniero dagli austriaci ed era stato internato nel campo di concentramento di Mauthausen: durante la prigionia aveva perso quaranta chili, pesava pochissimo e solo la forza dell’orgoglio gli aveva dato la possibilità di sopravvivere. Anche il papà di Gianfranco, che si chiamava Guglielmo, era stato arruolato: era uno dei ragazzi del ‘99, e il suo contingente era stato decimato nella ritirata sul Piave; lui era uno dei pochi ad avere avuta salva la pelle, perché avendo frequentato il liceo gli era stato dato l’incarico di fare il portaordini, così da scrivere in un italiano comprensibile le indicazioni ricevute dai posti di comando, e così si muoveva da un fronte all’altro, rischiando sempre la vita, ma in talune circostanze sfuggendo dagli avvenimenti bellici più cruenti.Nel 1927 Guglielmo si laureò in chimica farmaceutica ed il padre, che aveva ottimi rapporti con tantissima gente, gli trovò la possibilità di fare tirocinio presso una farmacia a Stresa; ma bastò soltanto un mese e mezzo al dottor Guglielmo per fargli comprendere che quello non poteva essere il suo futuro: il lavoro in farmacia, infatti, gli stava stretto. E così, come aveva fatto per tutti gli altri figli, anche per lui il padre volle prendere una cascina. Fu così che la dinastia dei Perazzo si confermò come schiatta di agricoltori.

DAL PAVESE AI COLLI BANINI

Il dottore Guglielmo si trasferì così alla cascina Canova di Torrevecchia Pia, sul Pavese. Lì aveva 1200 pertiche di terra e qualche ritrosia nel sentirsi definitivamente a casa: non era contento, ad esempio, della resa di alcuni appezzamenti. Il dottore Perazzo era un uomo di straordinarie ampiezze di vedute, una persona moderna, che sapeva stare al passo con i tempi: e a Torrevecchia Pia si sentiva come frenato. Quando la moglie, Dina Turla, che era originaria di Sulzano, nella provincia di Brescia, diede alla luce il figliolo Gianfranco, il dottore Perazzo capì che era giunto il momento di staccarsi dalla cascina Canova e di pensare ad una realtà più grande.All’epoca - correva l’anno 1939 - egli era in stretti contatti con un commerciante di granaglie, che all’uopo sapeva piazzare qualche altro buon affare: fu questi a parlargli della cascina Porchirola di Graffignana, che a quel tempo era ancora una possessione unica, non divisa nei tre attuali frazionamenti.Così andarono a visitare la corte di Graffignana, decidendo di fermarsi per il pranzo al mitico ristorante “Giardino” di San Colombano al Lambro: e visto che passavano dall’insigne colle, il mediatore gli fece osservare pure il podere Villa Maria, che era in vendita, e la cui splendida dimora era stata costruita nel 1905 e apparteneva alla contessa Maria Odescalchi, parente del principe di Belgioioso, che a sua volta era proprietario del castello di San Colombano al Lambro.Guglielmo Perazzo rimase a bocca aperta: quel podere, a cui si accedeva tramite un viale arricchito da altissimi alberi, era la sua casa dei sogni; volle così conoscere i fratelli Tosi, che all’epoca avevano la villa in conto vendita per la signora contessa. Solo che l’uno voleva vendere, e l’altro era incerto sul da farsi: alla fine, il dottor Perazzo mise mano al portafoglio e staccò un assegno quale anticipo della caparra.Fu così che l’affare venne concluso, e già alla fine del 1939 la famiglia Perazzo si trasferì a San Colombano al Lambro. Il dottor Guglielmo gestì l’azienda agricola privilegiando le colture utili in tempo di guerra: i campi furono piantati a granturco, e qualche pezzo di terra fu riservato ad orto, con piantagione in prevalenza di patate; vi erano poi quaranta enormi piante di ciliegio.

UNA SVOLTA DRAMMATICA

La vita a casa Perazzo scorreva serena: il podere garantiva buone risorse, il giovane Gianfranco frequentava la facoltà di Economia e commercio presso l’Università Cattolica di Milano. Ma il destino malevolo stava artigliando le unghie: per quanto il dottor Guglielmo da buon farmacista sapeva ben curarsi, ed era uomo ligio alle regole, che conduceva una vita sana, fu colto da infarto fulminante, che non gli lasciò alcun scampo. Era il 5 agosto 1960. Fu un momento molto drammatico per la famiglia: la signora Dina vacillò, e il figlio Gianfranco, se fino ad allora era stato un giovane serio ma spensierato, maturò tutto in una volta e si trovò davanti a importanti responsabilità; quasi il padre presagisse il proprio destino, lo aveva introdotto sin da ragazzo nelle relazioni d’affari con gli adulti: Gianfranco, pertanto, era un ragazzo stimato e ben voluto, ed era pure ragioniere: alcuni istituti di credito cominciarono a contenderselo, e un funzionario, che doveva saperla lunga, gli fece firmare un foglio, presentandolo come una richiesta di possibile assunzione, mentre si trattava di una vera e propria sottoscrizione di contratto di lavoro a tempo indeterminato.Fu così che da quell’istituto, la Banca Agricola Milanese, una mattina arrivò una telefonata, con il capo del personale stizzito, perché Gianfranco non si era presentato sul posto di lavoro. Iniziò così una nuova svolta, che durò quarant’anni.Durante i week end, Gianfranco lasciava da parte conti, bilanci, e contratti, e si dedicava alla terra, affiancato con identica passione dalla moglie, la signora Liselotte Hampejs, una donna viennese che, dopo aver conosciuto Venezia durante un viaggio, s’era talmente invaghita dell’Italia da decidere di mettervi radici. La signora Liselotte era figlia di un ingegnere, che aveva rapporti d’amicizia e d’affari con un imprenditore petrolifero, che aveva un’azienda in Italia: a quest’ultimo serviva una segretaria che, avvalendosi delle telescriventi, sapesse tradurre dal tedesco in modo veloce, e così Liselotte fu assunta. Divenne bravissima, capace di stilare un contratto nei minimi dettagli in pochi minuti.

UN AUTODIDATTA

Gianfranco Perazzo nel frattempo studiava come far rendere al meglio la propria terra: essendo un autodidatta prese a leggere libri sull’agricoltura, e s’illuse di averne carpiti tutti i segreti quando arrivò al trentesimo volume. Ma i primi risultati furono fallimentari. Non c’era di meglio per uno dal carattere caparbio: occorreva capire dov’era l’errore e ripartire. Dopo aver tentato con le pere, alla fine degli anni Sessanta provò con le pesche: gli alberi sembravano garantire buoni frutti. E fu così il signor Gianfranco chiamò alcuni mediatori per una valutazione del prezzo: uno storse il muso, un secondo disse che su dieci frutti buoni ne aveva trovato uno con una macchiolina e quindi il prezzo crollava, un terzo disse che gliele avrebbe smerciate ma le voleva gratuitamente; Perazzo, che è sempre stato un galantuomo, senza per questo mai indebolire la propria indole astuta, capì l’antifona: sapeva che il prezzo delle pesche al kg era di 230 lire ed allora affisse fuori dal proprio podere un cartello con su scritto: «Vendesi pesche a 100 lire al kg». Da un gesto di rabbia, da un moto d’astuzia, nacque così uno dei primi market farm del territorio.Il progetto funzionò alla meraviglia: le gente accorreva al podere Villa Maria perché trovava beni coltivati naturalmente e a prezzo imbattibile. Così l’azienda orticola dei Perazzo cominciò a girare a pieno regime, e furono costruiti nuovi capannoni dentro ai quali cominciarono ad essere coltivate verdure di diverse qualità, mentre larghi appezzamenti furono mantenuti a frutteto (ho assaggiato un kiwi che sembrava davvero prodotto in un eden speciale), e fu realizzato pure un pollaio per avere uova fresche di giornata.

DONNE SPECIALI

Uno dei punti di forza di Guglielmo Perazzo è stato quello di essere sempre affiancato da donne speciali: all’azienda agricola sovrintese per anni sua mamma Dina, che dopo i comprensibili iniziali mesi di smarrimento seguiti alla drammatica vedovanza, proprio rispettando l’impegno del defunto marito, pose tutta se stessa nella tutela della possessione; quindi la moglie Liselotte, e dalla metà degli anni Novanta la figlia Silvia, che oggi è la titolare dell’impresa agricola, ed è animata da passione, competenza, senso del sacrificio: una donna che ha stoffa e grinta, e sa scegliere i beni da produrre studiando attentamente gli orientamenti del mercato. Lei oggi è la vera anima dell’azienda, lavoratrice instancabile, in grado di produrre idee a getto continuo, senza mai rinunciarne ad alcuna, anche davanti alle resistenze di chi, nell’ambiente agricolo, esibiva scetticismi e perplessità. Oggi Silvia è una delle organizzatrici dell’evento che si svolge in ottobre a San Colombano a Lambro sulle donne imprenditrici in agricoltura. Proprio sapere di poter contare su una squadra, ha consentito a Gianfranco Perazzo di assumere anche altri incarichi: lui oggi glisserebbe volentieri sulla sua passata esperienza politica, ma è innegabile che se le colline di San Colombano al Lambro hanno mantenuto inalterato il loro fascino e su di esse è stata evitata qualunque forma di speculazione edile, parte del merito è da ascrivere al suo impegno.Nel salutarlo so che il suo podere assumerà ancora altre fisionomie, perché sia lui che la figlia Silvia sanno leggere il futuro: persone così hanno sempre nuove idee, che sono germogli, come i semi che coltivano.

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