Rabbia sui social: le donne nel mirino

Se pensate che la rabbia dei lodigiani in rete investa soprattutto la classe politica, vi state sbagliando. Perché nel mirino ci sono soprattutto le donne. E, al secondo posto, gli stranieri. I politici si guadagnano solamente il terzo, mentre gli omosessuali si piazzano “solo” al quarto. La bella notizia, però, è che, almeno sul web, Lodi è (quasi) un’isola felice, perché si trova in fondo alla classifica delle 110 province italiane, all’84esimo posto. Una performance commentata con ironia dai colleghi giornalisti che lavorano navigando in Internet: “Bene, chissà allora cosa commentano online negli altri posti”.

Lo studio diffuso tempo fa da Wired ha analizzato, attraverso la piattaforma Voices Analytics, circa 80 milioni di tweet georeferenziati nelle 110 province italiane e pubblicati nella seconda metà del 2016. L’obiettivo era capire se la rete fosse o meno quell’agorà negativa popolata da troll, fake news e hater.

È così emersa la mappa delle zone più arrabbiate dello Stivale: in testa c’è Roma, che guida anche le classifiche dell’omofobia e della xenofobia; Taranto è maglia nera per la misoginia, mentre a Milano il risentimento verso i politici va al massimo.

Lodi se la cava sempre agli ultimi posti, tuttavia i lodigiani in rete scatenano la propria aggressività soprattutto contro le donne (74esimo posto in classifica), ma sono più xenofobi (82esimo posto) che omofobi (88esimo posto). Inoltre, sono più arrabbiati con le donne e con gli stranieri che con la classe politica (84esimo posto).

La “rabbia social”, e non potrebbe essere altrimenti, corre anche sulle pagine web del Cittadino. E arginarla non è di certo affare semplice, soprattutto su di una pagina Facebook che conta più di 50mila “like”.

Due le tendenze riscontrate da chi ha il compito di seguire il popolo della rete: spesso l’aggressività è espressa in modo sconclusionato e, ma questa è un’altra faccenda, senza tenere conto della grammatica. Inoltre, gli utenti sembrano non rendersi conto che il profilo è pubblico e ci possono essere delle conseguenze se nell’esprimere un pensiero si superano i confini. In poche parole: le parole hanno un peso, specialmente in un’aula di tribunale.

Illuminante, da questo punto di vista, una delle considerazioni pubblicate qualche giorno fa dal giornalista Michele Serra su Repubblica, nella rubrica intitolata L’amaca. Per Serra al giorno d’oggi «il vero problema è la contagiosa perdita di peso della parola, usata con la leggerezza del rutto anche quando ha la pesantezza del sasso».

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