Un santangiolino al fianco di Bono degli U2

«Sono partito nel 2008, non si parlava ancora di crisi – spiega Andrea Ghianda, santangiolino che da ormai otto anni vive a Bruxelles, dove lavora per l’Organizzazione non governativa One, fondata da Bono Vox, il cantante degli U2 -. Prima di partire lavoravo in un’agenzia di comunicazione, ma quando la mia ragazza, che oggi è mia moglie, è stata accettata per un dottorato a Bruxelles, abbiamo deciso di fare le valigie e di cambiare vita». Non sono mancati momenti di panico: «All’inizio faticavo a trovare lavoro, ho finito i risparmi, ho venduto la macchina – racconta -. Poi pian piano ho trovato la mia strada, un lavoro a tempo indeterminato, e ora io e mia moglie abbiamo una bambina e io mi occupo di comunicazione per One».

Oltre alle Ong e, naturalmente, all’Unione europea, a Bruxelles dominano un’atmosfera culturale e sociale vivace, che la rendono un punto di approdo per tanti giovani di tutta Europa, un crocevia importante dove si parlano tutte le lingue: «Prima veniva solo chi lavorava nel grande apparato dell’Unione europea. Ora, invece, ci sono molti italiani che approdano per altri motivi, magari perché hanno fatto l’Erasmus qui e hanno già dei contatti, oppure semplicemente perché vogliono rifarsi una vita – afferma Ghianda -. In realtà, c’è una lunga tradizione di immigrazione italiana in Belgio, che comincia già negli anni Cinquanta, quindi ci sono italiani presenti in molti settori della società». I ragazzi che negli ultimi anni sbarcano a Bruxelles, quindi, si buttano in attività di ogni tipo: «Un amico ha aperto un negozio di pasta fresca, ad esempio, e poi nel campo della ristorazione ci sono molte opportunità». Bruxelles è un porto di mare in cui chiunque può trovare un modo per emergere, a patto di avere pazienza, un po’ di fortuna e tanta forza di volontà: «Bruxelles è qualcosa di profondamente diverso dal resto del Belgio, è una vera e propria metropoli dove si incrociano persone di molte provenienze geografiche diverse, e gli italiani sono sicuramente ben visti». La voglia di tornare, però, ogni tanto torna a farsi sentire: “Ci piacerebbe tornare in Italia, perché le nostre famiglie sono lì, e vorremmo che la nostra bimba passasse del tempo con i nonni. Però – ammette Ghianda – è difficile rifare il salto nel buio quando non hai più venticinque anni e hai una figlia. C’è un po’ di paura». Di primo acchito, Andrea confessa il suo pessimismo: «Lavoro da anni nell’ambito della comunicazione politica, è difficile rimettersi a operare nel campo della comunicazione aziendale. Però, sono anche convinto di aver maturato una certa esperienza: se in Italia c’è un grande immobilismo per chi è agli inizi, chi ha esperienza può ancora trovare il giusto spazio».

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