Torna la banda dei professori per chiudere la saga “scorretta”

“Smetto quando voglio. Ad Honorem” ultimo capitolo della saga di Sydney Sibilla

La banda è tornata. «Questi non perdono mai. Nemmeno vincono a dire la verità…» ma se c’è da architettare il piano più improbabile, colto e irresponsabile che mente umana possa immaginare chi meglio di loro?

La banda dei professori è tornata per prendersi la laurea ad honorem, ovvero per celebrare quel terzo capitolo che conclude la saga ideata e diretta da Sydney Sibilla. Che, ora si può dire, è proprio come uno dei suoi personaggi: «una delle migliori menti della sua generazione»… Dunque i professori che avevamo lasciato in carcere e sono ora alle prese addirittura con il progetto di un’evasione per sventare il piano criminale del cattivo apparso sul finale del film precedente. Ecco Smetto quando voglio. Ad honorem che chiude il cerchio mantenendo inalterata la qualità e confermando tutte le belle cose messe mostra fin qui. Senza ripetersi praticamente mai questo nuovo film si permette battute fulminanti e urticanti («questi continuano a depenalizzare il falso in bilancio...») buttate tra una scena e l’altra come se niente fosse, come se tra un progetto scellerato e un’idiozia colossale non si stessero mettendo in ridicolo clientele, malaffare, inefficienze di un paese intero, il nostro, che ha dimenticato la meritocrazia. «Siamo le migliori menti in circolazione…» ripetono in carcere un pugno di cattedratici senza mutande, con il sedere a favore di cinepresa. Non ci sarebbe molto altro da aggiungere…

Sibilla e gli sceneggiatori hanno un’ironia mai banale, che non sconfina nel volgare, che rifugge il luogo comune almeno quanto un congiuntivo sbagliato farebbe andare in bestia uno dei professori della banda. Il regista ha una capacità innata di gestire un film corale, lo ha dimostrato nelle puntate precedenti, e non contento dei suoi tanti personaggi da gestire ne aggiunge ogni volta di nuovi. In piccolissime parti o in ruoli più importanti (questa volta tocca a Peppe Barra regalare un cameo nei panni del direttore del carcere melomane e innamorato della recitazione e dell’arte). È la scuola della commedia, sono le regole base.

Poi c’è la tecnica, e qui il discorso dovrebbe essere se possibile ancora più approfondito. Smetto quando voglio è innanzitutto un film che funziona per come è girato, per le scelte stilistiche, per la sua grammatica. Per come cita alcuni film di riferimento e per come mette questi modelli al servizio del racconto. Questo terzo capitolo, come accaduto per i due precedenti, non dà mai l’impressione di essere improvvisato, in nessuno dei suoi momenti, nemmeno quando azzarda di più, con le scene d’azione, le esplosioni, l’intreccio e la suspense.

Alla fine di tutto poi c’è l’attualità del tema, l’urticante sensazione che serpeggia lungo tutti e tre i capitoli, la scorretta spallata che dà al malcostume e a tanta melassa “politicamente corretta”. La trilogia è legittimata dalla solidità di ogni singolo “capitolo”, perfettamente a sé stante, dotato di differenze, nel contenuto e nella forma. Tra Mastrocinque e Soderbergh, dopo aver trasformato la commedia in un film d’azione – passando dal primo al secondo film - si permette addirittura un finale in crescendo con questa terza parte. E poi, beffa suprema, chiude per davvero. Lasciando lo schermo nero dopo i titoli di coda, senza nessuna scena aggiunta ad annunciare un seguito, e facendo calare per davvero il sipario su questi meravigliosi e sgangherati criminali di cui ci ricorderemo a lungo.

Smetto quando voglio. Ad Honorem

regia Sydney Sibilla

con E. Leo, S. Fresi, L. Lo Cascio

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