Non si può scherzare sulla credibilità internazionale

di Stefano De Martis

Ormai la legislatura è veramente in dirittura d’arrivo e il discorso sulla data delle elezioni diventa più concreto e realistico, ferme restando le competenze costituzionali del Capo dello Stato. Le date che sembrano al momento più probabili in quanto ritenute corrispondenti all’orientamento del Quirinale(che però, ovviamente si esprimerà nelle forme e nei tempi dovuti) sono il 4 o l’11 marzo, più la prima della seconda. A dire il vero sono mesi che le cronache politiche indicano queste date, ma relativamente nuova sarebbe la motivazione. Votare all’inizio di marzo, infatti, consentirebbe di tornare alle urne prima dell’estate nel caso in cui il Parlamento uscito dal voto non riuscisse ad esprimere una maggioranza di governo.

Uno scenario a dir poco preoccupante, anche se in Europa l’unico Paese che dopo il voto non ha avuto gravi problemi nella formazione dell’esecutivo è stata la Francia, grazie soprattutto al suo sistema elettorale-istituzionale. Quindi nessuno si senta autorizzato a salire in cattedra e a dare lezioni. Ma l’Italia è una sorvegliata speciale sul piano finanziario è non è casuale che la Commissione europea abbia riacceso tutti i riflettori sul nostro debito pubblico e abbia annunciato il giudizio definitivo sulla manovra economica per il prossimo maggio. Come a dire che il nuovo governo italiano si troverà immediatamente a fare i conti con i richiami europei, sempre ammesso che in quel momento il nuovo esecutivo sia stato formato. In caso contrario, la “sentenza” della Commissione piomberà come un macigno nel bel mezzo di una nuova campagna elettorale.

È pur vero che una certa interpretazione della mission europea tutta centrata sui parametri economico-finanziari ha fatto il suo tempo ed è oggetto di critiche motivate nella gran parte dei Paesi della Ue, oltre a essere stata una delle principali concause dello sviluppo dei populismi. È anche vero che non si può giudicare lo stato di salute di un Paese soltanto guardando al Prodotto interno lordo e all’andamento dei conti pubblici.

Non solo – e soprattutto – perché la ricchezza di un popolo non può essere ridotta al suo Pil, ma anche perché gli stessi parametri economici sono realtà convenzionali suscettibili di letture e valutazioni divergenti. Basti pensare, a mero titolo di esempio, che se invece del Pil complessivo si osservasse il Pil pro-capite, l’Italia risulterebbe avere una crescita nettamente superiore a quella della Francia e rincorrerebbe persino la Germania. Non c’è molto di cui gioire perché la causa è essenzialmente il calo demografico, ma il dato è indicativo del tasso di opinabilità “politica” che hanno certe analisi economiche.

Scontate, quindi, tutte le obiezioni possibili da parte italiana, resta il fatto che la credibilità internazionale è un valore con cui non si può scherzare e nessuno si può illudere – e tantomeno può illudere gli elettori – che si possa promettere l’impossibile, prescindendo da impegni e alleanze. Se dopo le elezioni tutti saranno chiamati a un supplemento di responsabilità, già dalla campagna elettorale si capirà chi punta solo sulla protesta e sulle paure e chi è portatore di un progetto politico costruttivo.

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