Che i genitori facciano i genitori

È un j’accuse che rivolgo a certi genitori per denunciare pubblicamente la deriva verso cui si vuole trascinare la scuola con tutti i suoi pregi e difetti. E allora cari genitori da incubo pedagogico smettetela di sostituirvi agli insegnanti; smettetela di schierarvi dalla parte dei vostri figli sempre e comunque; smettetela di vedere i professori come una vostra controparte educativa; smettetela di trascinare i docenti nei tribunali per mostrarvi eroi agli occhi dei vostri figli; smettetela di essere fermamente convinti di sentirvi parte indispensabile nel processo di valutazione. La scuola non è un mondo alieno, ma non è nemmeno il terreno di scontro dove si confrontano forze avverse, separate da modi diversi di intendere l’educazione, la valutazione, il vissuto professionale. La misura è colma a motivo del qualemi sembra utile porre alcune domande rivolte a chi fa dello scontro dentro la scuola una strategia pseudo partecipativa. Siete proprio sicuri di poter fare a meno degli insegnanti nell’educazione dei vostri figli? Siete proprio convinti di essere più obiettivi degli insegnanti nel valutare l’impegno e i risultati nello studio dei vostri figli? Siete proprio sicuri che schierarsi sempre e comunque in difesa dei propri figli sia la condizione migliore per farli crescere donne e uomini del domani? Siete proprio convinti che un giudice vale più di un insegnante e un tribunale più di una scuola nel risolvere le controversie tra persone impegnate a confrontarsi (e non a scontrarsi) su temi delicati come la formazione e l’educazione? Se siete convinti di tutto questo, perché allora mandare i figli a scuola? Perché affidarli a degli insegnanti? Forse che vi fa comodo pensare alla scuola come a un parcheggio e agli insegnanti come a dei posteggiatori il cui compito è solo quello di badare a che i vostri figli si divertano tra una lezione mal sopportata e un insegnante mal visto? Molti genitori sentendosi al di sopra di tutto e di tutti, si ritengono, come tanti Soloni, depositari di verità assolute, di conoscenze superiori e infallibili nel suggerire ricette educative e formative ignorate dalla scuola fino a ritenerla responsabile dei conseguenti fallimenti. Così facendo banalizzano un rapporto educativo complesso e controverso con i figli e squalificano chi con questi figli trascorre gran parte della giornata. E se un domani questi figli benedetti si rivoltassero contro chi li ha sempre tutelati e difesi? Che si fa? Ci teniamo i genitori oltraggiati e i figli sregolati? Diventa dunque prioritario che questi genitori così solerti nel contrastare l’opera educativa e formativa degli insegnanti, facendo leva sui valori inopportunamente emendati, possano avvedersi degli errori commessi e soprattutto possano prendere coscienza della voragine che si è aperta tra loro e la scuola. Una certa cultura, oggi da parecchi genitori condivisa e da anni assoggettata, ha rotto l’armonia che per decenni ha rappresentato norme e regole nella gestione dei rapporti tra la scuola e la famiglia. «Formazione è trasformazione» diceva Goethe, ma mai avrei pensato che la formazione si sarebbe potuta trasformare in occasione di scontro e la trasformazione avrebbe alterato irrimediabilmente un rapporto fatto soprattutto di dialogo. Come si fa a migliorare un clima all’interno di una scuola quando si ha a che fare con dei genitori che si affannano a dimostrare di essere competitivi più che competenti? La scuola viene così vissuta male dove il linguaggio corrente di alcuni genitori trova la sua involuzione, rasentando talvolta persino l’offesa, ma è lo specchio dei tempi che trova nella complicità dei media un valido alleato sempre avanti nel proporre l’evoluzione del linguaggio e del comportamento. In questa evoluzione trova linfa e forza il concetto del docente visto come un interlocutore avversario a cui rapportarsi con comportamenti maleducati, irrispettosi e ferocemente critici animati da un’eccessiva animosità tale da rasentare il famoso detto «si vis pacem, para bellum», ovvero, «se vuoi la pace, prepara la guerra». E quale sarebbe la pace da proporre con “premurosa solerzia” ad un insegnante? La richiesta di rivedere al rialzo i voti, ventilando, in caso contrario, un esasperante attivismo fatto di lettere al preside, valutazioni affidate a terzi talvolta foriere di azioni legali. Pare che oggi inveire e affrontare a muso duro i docenti sia un modo come un altro per mettere alla prova la sua resistenza intesa nel senso dato da Edgar Morin, filosofo francese, di «resistere per essere», una dimensione che vuole la sua coerenza professionale a rischio di veder ampliata la stessa pericolosa platea consociativa. Eppure tutti sappiamo che un simile sistema comportamentale non porta benefici di crescita della persona né se riferito ai ragazzi, né tanto meno se riferito ai genitori. C’è chi vuole la scuola facile pur sapendo che il vivere quotidiano non è affatto facile; c’è chi vuole la vuole dispensatrice di soli bei voti senza che questi siano il risultato di impegno, rinunce e sacrifici pur sapendo che l’esperienza professionale, senza questi valori, che non cadono dalle nuvole in quanto sono essenzialmente espressioni umane, non offre tranquillità a nessuno; c’è chi la vuole, invece, permissiva pur sapendo che se l’obiettivo viene raggiunto dopo un faticoso viatico acquista più spessore e più significato di uno raggiunto senza alcuna soddisfazione. Allora che il genitore faccia il genitore e lasci all’insegnante fare l’insegnante. Ebbene che i genitori sappiano che alzare la voce, imporsi con atteggiamenti duri da sopportare se non addirittura aggressivi non rappresentano lo standard comunicativo, né un ideale rapporto evolutivo. Tutto questo succede perché dubbi, riflessioni e proposte sono oggi sostituiti dal linguaggio dei “muscoli” da ostentare dove a prevalere è la categoria che ciascuno rappresenta e non persone che si confrontano. Non sto parlando di assumere atteggiamenti di riverenza poiché a questi gli insegnanti non sono avvezzi, ma di riconoscenza dell’opera, di conoscenza e rispetto dei ruoli che si completano mediamente nel vasto campo dell’educazione dove il reciproco autorevole riconoscimento può portare a vivere la difficoltà di dialogo come un semplice dissenso, vissuto come un atteggiamento critico e non come un contrasto alla pari, mediante una reciproca e prevaricante posizione. E tuttavia a voi genitori che andate in cerca di espedienti per dar fondamento a un rapporto conflittuale, va il mio personalissimo plauso per aver reso possibile questa mia reazione culturale.

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