Il grande esempio del campione

“Lo sport è anche esempio. Esempio che gli atleti più in vista, più ancor di quelli in seconda fila, debbono dare al pubblico che li segue e spesso li ammira. (…) I campioni, tutti i campioni di tutti gli sport, hanno dei doveri di coerenza prima di tutto verso lo sport che li ha resi famosi e, talvolta, perfino ricchi. Devono, cioè, comportarsi con linearità, come se lo sport fosse un servizio”. In fondo alla pagina di cronaca sportiva di un quotidiano nazionale di fine luglio appare la lettera di un allenatore, Marco Tardelli, a un calciatore protagonista, non unico, delle innumerevoli giravolte del calciomercato. Un sospiro di sollievo e anche un sussulto di stupore di fronte all’affermazione di un allenatore convinto che lo sport sia da intendere e vivere come un servizio.Da molto tempo, forse troppo, questa parola non si sentiva e non si leggeva. Travolta dal torrenziale linguaggio calcistico sembrava consegnata a vocabolari abbandonati alla polvere.Invece, è improvvisamente tornata con il suo significato educativo.Riporta alla mente il gesto con il quale si aprono le partite di calcio: i giocatori entrano in campo tenendo per mano un bambino o una bambina.Che senso ha questo attimo alla luce di quanto poi spesso succede nel contesto della partita? Solo una formalità, una coreografia che dura qualche secondo, un copione senz’anima?Solo una sottile strumentalizzazione dell’innocenza, dell’entusiasmo, dell’attesa dei piccoli?Quale messaggio viene a loro consegnato alla fine di una sfida?Molti se lo chiedono, soprattutto quando questa immagine appare in video e si scontra con immagini di tensione, di violenza, di cifre da capogiro.La lettera di Tardelli rilancia la riflessione sul ruolo non tanto di uno sport, che potrebbe essere letto come un’entità anonima, quanto di coloro, uomini e donne con nomi e volti, che praticano una disciplina sportiva.“L’esperienza e i tanti brutti esempi in circolazione insegnano a moderare gli eccessi dello spettacolo fuori campo. Il calcio, in particolare non ha bisogno di aggiungere ombre, fischi, e giravolte al suo zoppicante cammino”.È un richiamo, non di un moralista ma di un allenatore già calciatore, a restituire alla cultura sportiva, soprattutto a quella calcistica, la sua vocazione nello stimarsi a vicenda.“La generosità del pubblico – scrive Tardelli – va ripagata con l’esempio”.L’esempio è soprattutto comunicare al pubblico che lo sport è un tempo e un luogo nei quali la traccia di umanità del giocatore, come quella del tifoso, assume una grande valenza educativa. E perché questo avvenga non c’è bisogno di colpi di testa senza il pallone.

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