Il portiere diciottenne e i senza lavoro

Che sensazione di leggera follia nel seguire i media in questi caldi giorni estivi, quando le prime pagine del quotidiano ti raccontano della crescita della povertà assoluta in Italia; del fatto che sempre più minori si trovino in situazione di indigenza economica; che a pagare il conto – non tanto della crisi ma proprio di una società che si è così strutturata – sono le famiglie con più figli. Quelle con genitori ancora giovani, quelle maggiormente a rischio di scivolare nell’inferno delle bollette non pagate e dei mutui non rispettati.E poche pagine più avanti, ci si esalta nel sapere che un portiere diciottenne ha strappato un contratto pure per il fratello di una dimensione tale da bastare per una vita intera e forse due. Che quell’altro campione fa i capricci: o sono 6 milioni di euro l’anno, o gli viene il mal di pancia che gli blocca l’uso degli arti inferiori. Che i procuratori di suddetti superman guadagnano in un anno come delle aziende con 200 dipendenti e un fatturato di medie dimensioni…

Tutto ciò, senza che il cervello vada in tilt. Ormai ci sembra normale, questa società a comparti stagni. Così normale che pure la nostra testa si muove a comparti stagni: s’indigna per i ragazzini senza un futuro, si esalta per quelli che hanno tutto e subito.

Il cervello, appunto, ci dice da molti anni che le cose non sono collegate. Che questo mondo vede insuccessi e trionfi nello stesso momento. Che i mondi dorati rispondono a loro logiche, dove gli attori protagonisti di un circo zeppo di soldi vanno pagati in proporzione ai soldi che appunto movimentano. Questo vale per il cinema, per la televisione (ricordate le star della Rai offese per la ventilata decurtazione degli emolumenti?), per la musica, per ogni “mercato” che produce sceicchi sostenuti da un qualche petrolio.

Epperò. Se è da tempo riuscita la mossa di far applaudire i poveri per i successi dei ricchi, c’è da dire che dopo un po’ gli applausi non copriranno più il montante senso di disuguaglianza sociale del quale già troviamo rigurgiti abbondanti in politica. Una politica che, se incapace di cambiare le cose, deve almeno avere l’intelligenza e la lucidità di sistemare l’esistente, di spianare le disuguaglianze redistribuendo meglio, di creare le occasioni di maggiori opportunità. Insomma, di costruire un futuro che nessuno di noi vede più; soprattutto se ha vent’anni, che è l’età peggiore per una simile cecità.

Uno su mille ce la fa, cantava quello là non pensando che una simile affermazione sarebbe diventata l’orizzonte quotidiano di un popolo. Prima o poi, gli altri 999 potrebbero avere qualcosa da dire senza la serenità giusta per dirla in modo positivo. Come diceva quell’altro ancora: meditate, gente…

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