Migranti, l’Italia è

allo stremo

Come è noto, l’Italia si è presentata con le carte in regola al minivertice di somenica, a Parigi, con i ministri degli Interni di Germania e Francia, presente il commissario Ue alle migrazioni. Un quartetto – il francese Gérard Collomb, il tedesco Thomas de Maizière, l’italiano Marco Minniti, il commissario Dimitri Avramopoulos – che ha preparato la strada al Consiglio dei ministri degli Interni dei 28 che si terrà a Tallin (sotto presidenza estone) il 6 e 7 luglio. L’intento dichiarato era la ricerca di un “approccio coordinato ai flussi migratori nel Mediterraneo”, ovvero aiutare l’Italia a far fronte a una situazione straordinaria che da un lato pone l’emergenza relativa ai salvataggi in mare, dall’altro mete in luce la questione dell’accoglienza dei migranti, il cui flusso non accenna a diminuire. L’Italia aveva minacciato la scorsa settimana di chiudere i porti alle navi delle Ong che battono bandiera di un altro Paese; ma è chiaro che si tratterebbe di una misura estrema e forse non in linea con il diritto internazionale.

La riunione di domenica ha consentito di evidenziare un accordo di massima tra i tre maggiori Paesi europei su tre punti essenziali. Il primo: definire una sorta di codice per le Ong che si occupano, con grande impegno e generosità, di salvare vite umane nel Mediterraneo; la richiesta dell’Italia è che si aprano altri porti europei per il loro attracco, il riconoscimento dei migranti e la prima accoglienza perché, ha detto Minniti, l’Italia è allo stremo.

A tale proposito si è registrata ieri la posizione di Caritas italiana esposta al Sir da Oliviero Forti, responsabile dell’area immigrazione, a proposito dell’intesa, a Parigi, tra i ministri di Italia, Francia e Germania sulla questione migranti, in vista del summit europeo di Tallin.

«Limitare fortemente l’azione Ong ed esternalizzare le frontiere - ha dichiarato Forti - è inaccettabile, vuol dire andare nel senso inverso a quanto da noi auspicato: cioè trovare canali legali e sicuri d’ingresso in Europa». Ma ci sono alcuni punti positivi: «Spingere sulla relocation in altri Paesi europei, abbassando la soglia di accesso sotto il 75%” e “far sbarcare i migranti anche nei porti di Barcellona e Marsiglia».

Nel documento si parla, tra l’altro, di regolamentare le azioni e i finanziamenti alle Ong che salvano vite in mare e di ridurre gli sbarchi dando più fondi alla Libia per il controllo delle coste.

«Continua la delegittimazione, anche se indiretta, delle Ong – osserva Forti -. Temiamo non si vogliano avere soggetti indipendenti in mare per verificare l’operato della guardia costiera libica, al momento sotto osservazione della Corte di giustizia europea per questioni legate a crimini contro l’umanità, tra cui il caso dell’affondamento di un barcone sparando in aria». Poi si parla di esternalizzazione delle frontiere in Libia, «un piano per noi inaccettabile dal punto di vista dei diritti umani» sottolinea.

Sulle richieste specifiche alle Ong, Forti ricorda che «molti bilanci sono già pubblici», «nessuno ha mai dimostrato che qualcuno faccia segnali luminosi» e la guardia costiera italiana «ha più volte ribadito che le operazioni non avvengono mai al di fuori del loro controllo».

Sul divieto di entrare nelle acque libiche Forti fa notare che «la Libia non ha mai riconosciuto il sistema Sar, ossia una area di ricerca e soccorso in mare. Si è sempre mossa in maniera indipendente, al di là degli schemi previsti a livello internazionale. Questo è il primo punto su cui ci si dovrebbe attrezzare».

«Il rischio – avverte – è che diventi la solita narrazione negativa per convincere l’opinione pubblica del contrario». I governi, a suo avviso, «devono inoltre chiedersi se i singoli Paesi sarebbero in grado di supplire a quello che oggi fanno le Ong, ossia più del 40% dei salvataggi. La questione di fondo è: chi si prende la responsabilità di non salvare le persone? È un problema di coscienza che chi decide dovrà affrontare».

Nel documento vi sono però, secondo Forti, alcuni aspetti positivi, tra cui «spingere per la relocation affinché il piano funzioni». «L’obiettivo è far comprendere a tutti i Paesi europei che la relocation è un dovere, non un’opzione – afferma -. Su questo bisogna lavorare politicamente in maniera seria, abbassando la soglia che prevedeva la relocation solo per quelle nazionalità che raggiungono il 75% del riconoscimento, altrimenti nessuno viene ricollocato».

Forti è inoltre favorevole alla proposta del governo italiano di far sbarcare i migranti anche nei porti di Barcellona e Marsiglia: «Potrebbe essere un modo per alleggerire il nostro sistema di primo soccorso».

«Su questi tre aspetti possiamo ragionare – conclude -, tutto il resto va in direzione opposta a quanto auspichiamo».

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