Nino D’Angelo svela l’amore per Lodi

Ci vogliono le regole, ma come facciamo a chiedere alla gente di seguire le regole se poi chi ci governa per primo non le rispetta?

La crisi è una prova per chi sta bene. A Napoli, forse potrebbero dare lezioni per insegnare a sopravvivere

a chi non è abituato

Io conosco la vita

da ricco,

ma non sono stato mai felice com’ero quando avevo 18 anni e

la felicità nasceva dal desiderio

All’inizio nel cuore di Nino D’Angelo c’era solo Napoli, luogo di nascita e centro degli affetti. Poi è arrivata Roma, dove il cantante e attore partenopeo risiede e adesso, un po’, anche Lodi. Perché in città l’artista, che ha conquistato generazioni con il suo caschetto d’oro, viene spesso. Passeggia per strada, scopre i ristoranti, ama gironzolare per la campagna. E sogna quanto prima di poter fare un concerto a Lodi, magari nella piazza.

Com’è arrivato Nino D’Angelo in questo angolo di pianura padana?

«L’ho conosciuta per mio figlio, che vive in zona, e ho scoperto che mi piace. Edifici medioevali, molti ristoranti. Appena si entra in città, poi, c’è quel locale che si chiama “Zi’ Gaetano”. È perfetto. Quando l’ho visto la prima volta ho pensato con ironia: “Qua non ci sono meridionali”. Ho visto poi che è una città pulita. Io vengo dal Sud, dove è un po’ più difficile vivere. Casoria sta a Napoli come Lodi sta a Milano. Ma Casoria è più popolosa, quindi è più complesso poi gestirla».

L’impatto con Lodi invece le è sembrato semplice…

«Molto, anche se a volte mi viene difficile uscire di casa. L’ultima volta che sono venuto sono andato in giro da solo in auto. Mi fermavo in un posto per telefonare e le persone mi avvicinavano per chiedere l’autografo».

Sono una scocciatura gli autografi?

«No, meno male che ci sono».

Mi parli del rapporto tra Nord e Sud.

«Meglio di no, è un confronto che non ha senso fare».

Allora ragioniamo di politica. Le interessa?

«Mi piace quando ci sono gli uomini, di qualunque colore, che dicono cose interessanti perché mi fanno riflettere, ma adesso ce ne sono sempre meno. Succede da quando c’è la legge elettorale per cui quelli che vanno al governo sono scelti dal partito e non dalla gente».

E il nuovo fenomeno di Grillo?

«Grillo ci voleva: ha fatto capire quanto la gente non ami la politica. Io non ne me ero reso conto. È il fenomeno dello scontento. Certi vanno a votare per coscienza ma non sono convinti. La politica, parlo di quella di sinistra, mi ha deluso un po’ negli ultimi tempi. Dove ci sono tutte queste correnti è come se ci fossero partiti nei partiti. Abbiamo già delle difficoltà ad amministrare l’Italia, se iniziamo nel partito a fare una gara a chi arriva prima è finita. Direi che serve la medicina per le coscienze: questi non hanno capito che siamo rovinati».

Quale è questa medicina?

«Ridiventare persone perbene. Questi hanno superato il confine. Si deve essere coscienti degli errori che uno fa. Sono per la riabilitazione, anche di quelli che vanno in galera perché il carcere deve servire per educare. Oggi ai detenuti si augura una presta libertà, ma è un pacco. La vera libertà per loro è la riabilitazione».

Torniamo un attimo a Lodi. Ma non ci porta il suo spettacolo?

«Vorrei, ma non sono riuscito perché il teatro è piccolo. All’auditorium si potrebbe fare il concerto. C’è un altro spettacolo che si chiama Core pazzo che è sul valore della famiglia, che oggi è diventato moderno. Oggi facciamo finta di mettere davanti sempre questi valori ma non li abbiamo più. Ci vogliono delle regole. Ma come facciamo a chiedere alla gente di seguire le regole se poi chi ci governa non le rispetta?».

Secondo lei, che prospettive ci sono per i nostri giovani?

«Oggi i ragazzi vedono queste cose di lusso in televisione e le vogliono e non capiscono che i genitori non hanno certe possibilità. Dal canto mio posso dire che la più grande felicità l’ho vissuta perché non ho mai avuto le cose e quando mi arrivavano ero felice. Anche la povertà ha una sua bellezza, come la ricchezza ha i suoi elementi negativi. Io conosco la vita da ricco, ma non sono stato mai felice com’ero quando avevo 18 anni. Dopo non ho mai conosciuto un momento di felicità pieno. La felicità che nasce dal desiderio. Io auguro alle persone di desiderare. Il desiderio è la cosa essenziale, anche tra uomo e donna. Una volta nel rapporto tra ragazza e ragazzo c’era tutto un cammino, un percorso lungo. Adesso si è andati troppo oltre».

Lei sostiene di essere uno che ha vissuto due vite diverse…

«É vero e ho anche conosciuto le due facce dell’Italia. Napoli ha due facce: il Vomero e Secondigliano. Chi abita nelle due zone non si vuole avvicinare. Ci sono condizioni e problemi diversi. Io ho vissuto fino all’età del successo dall’altra parte del muro. Poi sono passato a questa parte, ma sento che non mi piace questa vita. Mi sono abituato, ma quando sto tra la mia gente mi sento a mio agio, sono felice, sorrido. Io non credo che riuscirei a scrivere una canzone se vivessi in una camera al Vomero. I napoletani hanno tante possibilità. A Scampia ci sono ragazzi che hanno quattro lauree, ma non lo dice nessuno. Da quando vivo a Roma mi arriva un’altra Napoli, solo quella da cartolina. La vera Napoli in Italia nessuno la conosce. Tutti gli autori fanno quello che la gente vuole vedere di Napoli. Ma solo chi la vive sa com’è Napoli. A casa mia il mandolino non c’è stato mai e mio fratello la pizza se la prende solo una volta la settimana».

Faccia uno spot per la vera Napoli.

«Intanto è una città di gente colta. Non siamo tutti ignoranti e imbecilli. Ha una storia che non ha nessuno: è stata capitale del Sud, a Napoli sono venuti e ci hanno portato via tutto. Andiamo a studiare la storia. A Napoli abitava la ricchezza. Ci hanno fatto poveri, non per colpa nostra. Io vorrei che si mettesse un faro e si ingrandisse anche un po’ quello che di bello ha questa città, non solo la sofferenza. Ci si lamenta del fatto che i napoletani si piangono sempre addosso. È un modo nostro di essere: i problemi ci sono, se uno li ha come li deve raccontare? Con il sorriso? No, non si riesce».

E oggi con la crisi com’è la situazione?

«Noi siamo già abituati: la crisi è una prova per chi sta bene. Qui nessuno ci fa caso: anzi, forse potremmo dare lezioni di sopravvivenza a chi non è abituato».

Lei ha fatto lezioni sulla musica come strumento di recupero sociale. Ci crede davvero?

«Certo. Sono stato anche direttore di un teatro, il Trianon Viviani. Con 5mila abbonati il mio era il teatro pubblico italiano che faceva più abbonati. Era diventato teatro sociale perché facevo l’abbonamento a cento euro. Portavo a teatro la gente che non c’era mai stata. Era un mezzo per acculturare».

Come Shakespeare?

«Lui faceva già il teatro del povero. Io facevo gli spettacoli dell’Augusteo di Napoli, ma si pagava meno della metà; poi c’era lo spettacolo del martedì per le persone anziane. Avevamo solo i vecchiarelli nella sala: a volte abbiamo anche dovuto chiamare qualche medico. Credo che chiuderlo sia stata una delle più grandi ingiustizie che la politica del dopo Bassolino ha fatto».

Come si fa con la musica a risolvere una situazione delicata come quella attuale?

«La musica è una grande messaggera ma non può risolvere niente. Non ha il potere di cambiare».

Mai pensato di fare politica?

«Me l’hanno proposto. A me piace, mi piace non farmi fare fesso; capire dove si vuole arrivare. Ma non mi aspettavo che i politici fossero più delinquenti dei delinquenti. Il ragazzo che fa gli scippi resta due anni dentro e certi politicanti che rubano invece niente. Sono sempre i poveri a pagare. Comunque tanti mi hanno chiesto di candidarmi. Mi piacerebbe perché vorrei difendere il diritto. Per tanta gente c’è solo il dovere, il diritto non c’è nemmeno».

Allora non lo esclude...

«Se me lo chiedesse il popolo napoletano, forse. Mi piacerebbe battermi per i problemi della gente. Non posso fare il presidente del consiglio…»

Sindaco di Napoli?

«Non so. Il più grande sindaco di Napoli è stato Bassolino, ha lavorato bene per la città».

In generale un consiglio a chi governa.

«Bisogna dare ascolto solo alla gente e dalla gente deve partire tutto. I veri problemi si vivono in strada, non nelle stanze del Comune. Il sindaco è come il padre di una famiglia allargata. Poi bisogna dare spazio ai giovani. Dopo una certa età i politici non vanno più votati».

Nella sua musica, dalle origini ad oggi, c’è stata una grande evoluzione. Ci racconti com’è arrivata.

«Già da bambino volevo cantare e suonare, ma nel primo periodo volevo soprattutto fare i soldi. E avevo capito che a Napoli mancava uno che potesse fare musica napoletana neomelodica. Quando ho avuto successo, non ho più trovato il coraggio di cambiare. Uno che nasce senza una lira e all’improvviso si trova a gestire un patrimonio grande, come fa a riuninciare a questa cosa. In quegli anni io, oltre alla mia famiglia, ho fatto mangiare una tribù immensa. Sono stato il cantante più falsificato d’Europa negli anni Ottanta e con i miei dischi falsificati ha mangiato tutta Napoli. Per questo c’è questa adorazione. A un certo punto della mia vita, però, ho conosciuto la depressione. Per tre anni non ho fatto più niente. Man mano che sono uscito da questo tunnel è venuto fuori ciò che volevo essere veramente: non più l’icona con i capelli biondi, ma me stesso, con la musica che amo. Io oggi mi leggo i testi che scrivevo e vedo che ci sono cose veramente belle. Su Facebook io dò ogni giorno la buonanotte ai miei fans, scrivo dei pensieri, e loro mi aspettano».

Le piace giocare con le parole?

«Io ero bravissimo nello scrivere, ma a parlare avevo difficoltà. Alle medie la prof mi fece fare un tema sulla figura del padre e dopo averlo letto mandò a chiamare i miei genitori. Loro mi picchiarono perché erano abituati che se li si mandava a chiamare avevo fatto qualcosa di male. Ma non era così. La prof voleva che prendessi la licenza media con il latino. Mi diceva: “Hai talento, fallo per me”. Pensava che sarebbe servito per il liceo classico. Sono arrivato a fare la musica di oggi perché il mio gruppo mi fece sentire Peter Gabriel e io mi innamorai della sua musica e della contaminazione».

Il prossimo progetto?

«Continuo a portare in giro anche in Europa il mio spettacolo e sto pensando di fare un disco live. Mi piacerebbe fare un cd live che ripercorre la mia carriera arrangiando tutto in modo diverso».

E un concerto a Lodi?

«Serve uno spazio ampio, il teatro di Lodi è piccolo, l’auditorium non è adatto. Ma sa cosa le dico? Scommetto che potrei riempire la piazza. Arriverebbero con il pullman da tutto il Nord Italia».

© RIPRODUZIONE RISERVATA