Un fiume di persone per don Luisito

«Per lui Chiesa era ovunque si proclamasse la Parola»

Un fiume di auto affluente verso il campanile di Viboldone, con i serpentoni d’acciaio rilucenti nella bella giornata di sole. Fiumi d’auto ai quattro capi del complesso abbaziale. In questa immagine è simboleggiata la forza del pensiero e della presenza di don Luisito Bianchi anche nel giorno della sua dipartita terrena. Ai funerali del sacerdote da quarant’anni cappellano nell’abbazia sabato hanno partecipato quasi mille persone. È arrivato da Cremona, terra d’origine di don Bianchi, il vescovo monsignor Dante Lafranconi, e con lui alcuni sacerdoti del comprensorio diocesano cremonese, assieme ai parroci delle sette unità pastorali di San Giuliano. All’età di 84 anni, vissuti con il privilegio di assistere alla nascita di almeno tre Italie (dalla Resistenza allo sviluppo economico fino alla globalizzazione bifronte), don Luisito è arrivato alla sua ultima «festa». «Perché la vera festa ad un prete, ad un uomo di Dio si fa nel giorno della fine, quando un popolo riconosce il valore del suo pastore», ha affermato don Mario Maccarinelli, amico personale, durante l’omelia riprendendo un ammonimento caro al prete-operaio di Viboldone. A giudicare dalla gente sotto le navate della fondazione umiliata e poi benedettina, non c’è dubbio che don Luisito abbia seminato parola feconda. La commozione e il raccoglimento erano composti, ma profondi. Da venerdì scorso la parola di don Luisito non può più risuonare - in termini umani almeno - nell’atmosfera di questo luogo millenario. Il primo aprile dell’anno scorso la sua ultima messa qui, poi per quasi un anno la necessità, percepita talvolta penalizzante, di non poter più celebrare. Don Luisito Bianchi è morto lo stesso giorno, il 5 gennaio, e la stessa ora di madre Margherita Marchi, prima badessa della rifondata comunità femminile di Viboldone. È tornato al Padre persino pronunciando le stesse parole di madre Marchi: «Luce, luce!». Don Luisito Bianchi è stato uno di quegli uomini che, in formula banale, «hanno segnato un’epoca». Sabato a dargli commiato oltre a cittadini ed autorità (per il comune di San Giuliano c’era l’assessore Pierluigi Dima) un gruppo di aclisti milanesi degli anni del “dissenso”, delle “deplorazioni” papali, o forse di una coscienza cattolica adulta. Gli anni in cui don Luisito faceva l’operaio in fabbrica e il benzinaio. Pietro Praderi, Corrado Barbot, Pietro Gaboardi, “ragazzi” di quegli anni Sessanta, così lo ricordano: «Don Luisito sorpassato oggi? Ma figuriamoci, con le sue meditazioni sul bene comune che sta andando in frantumi». Ma poi, oltre il bene umano e la sua mutevolezza, ecco l’interrogativo sospeso del punto d’approdo: «L’unica Parola che completa l’Uomo. Cioè Dio cioè Amore», ha proseguito la funzione. «La Chiesa è ovunque si proclami la Parola, questa era l’unica cosa che contava per don Luisito».

Emanuele Dolcini

© RIPRODUZIONE RISERVATA