Sudmilano, il problema è ormai evidente: i medici di famiglia sono troppo pochi

La situazione è esplosa complice il Covid

Milleottocento pazienti per medico. A questi numeri, decisamente folli, siamo ormai arrivati in molti centri del Sudmilano e del Lodigiano (ma il disagio si allarga a macchia di leopardo in buona parte della Penisola) in virtù delle scriteriate politiche sanitarie degli ultimi anni, in cui ha prevalso la logica dei tagli su quella dell’assistenza, con gli effetti nefasti che oggi, nel pieno dell’emergenza pandemica, ci troviamo a dover affrontare.

Sulle trincee della sanità pubblica è rimasto un volenteroso manipolo di dottori, impiegati - siringhe e stetoscopi in pugno - a fronteggiare migliaia di pazienti senza la possibilità di avere rincalzi dalle retrovie, sguarnite dai pensionamenti dei colleghi più anziani e prive anche di reclute a causa della scelta - da parte dell’Ats di turno - di non provare (o riuscire) nemmeno a colmare la mancanza, preferendovi la redistribuzione fra i “superstiti” del bistrattato popolo dei “mutuati”.

Il risultato è cronaca quotidiana sulle pagine del «Cittadino»: disagi, lunghe attese, esami che saltano, la quasi impossibilità di contattare anche solo telefonicamente il proprio medico curante e il proprio pediatra per farsi prescrivere un banale farmaco, essendo tali professionisti letteralmente travolti sotto una valanga di chiamate e richieste di intervento.

Il problema è particolarmente grave nei piccoli centri, snobbati dai pochi camici bianchi in cerca di sistemazione, e nelle frazioni di quelli maggiori, come dimostrano i casi di Poasco, Civesio/Sesto Ulteriano fra San Donato e San Giuliano Milanese. Ma è chiaro che senza una seria inversione di rotta, che tocchi gli ambiti territoriali ma anche le decisioni del governo centrale circa la formazione stessa del personale medico (e dunque l’accesso agli studi universitari e alle specialità coinvolte), l’emergenza rischia di protrarsi a lungo, a grave danno degli utenti e, in particolare, di quelli più fragili come gli anziani, spesso impossibilitati a spostarsi autonomamente dal proprio comune di residenza per raggiungere un altro medico.

Il problema non è certo nuovo, ma il Covid-19 ha letteralmente scoperchiato la pentola, mettendo in luce la gravità di una situazione che, nel caso della ricca Lombardia, si tendeva a tenere per l’appunto sotto traccia, nascosta dietro la narrazione dell’efficienza e dell’eccellenza del sistema.

Oggi, e almeno questo è un effetto positivo della pandemia, il problema è venuto allo scoperto e non lo si può più sottacere. Urgono, anzi, soluzioni, che non siano però il solito tappo nella falla, buono solo a evitare il naufragio domani. Servono piuttosto strategie, progetti, denari che rivedano nell’insieme la logica del rapporto fra medico di base (e pediatra) e pazienti, evitando la catastrofe dopodomani. Ne saremo capaci?

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