n «Sono stato attirato fuori dall’ufficio dalle urla di un uomo. Arrivato nell’atrio, mi sono accorto della presenza di un bambino rivolto a terra supino, e in piedi, vicino a lui, il Barakat che brandiva un coltello da cucina con la mano destra». È la drammatica testimonianza rilasciata dal medico che per primo, trovandosi nel centro socio sanitario di via Sergnano per altri motivi quel giorno, è intervenuto per salvare il piccolo Federico dalla furia del padre. Prima ha colpito l’uomo con una sedia, poi con un estintore preso dal muro, ma tutto è stato inutile e alla fine il bimbo è morto e l’uomo si è tolto la vita. Quelle, però, sono solo le fasi conclusive di un’aggressione cominciata diversi minuti prima e che, secondo la tesi della difesa, poteva essere evitata.
Federico viene aggredito alle 16.40 (lo ha stabilito l’autopsia), mentre con il padre e l’educatore stava andando nella saletta degli incontri. Quello che è successo quel giorno è stato scritto nero su bianco dall’avvocato Federico Sinicato, nella richiesta di avocazione del procedimento presentato alla procura generale presso la corte di appello di Milano. Una sequenza agghiacciante, che lo ha spinto a definire questo come «il più orribile omicidio di bambino avvenuto a Milano negli ultimi trent’anni». Prima quindi Federico viene colpito alla testa da un colpo di pistola, ma di striscio, e quindi in modo non mortale: Federico «poteva ancora essere salvato». Poi il padre impugna il coltello da cucina e colpisce il figlio prima alle spalle, poi, quando questo si gira per difendersi, al torace, per otto volte, facendolo cadere a terra. Ma non solo. Diverse ferite vengono trovate anche sulle braccia e sulle mani, “tutte da ricondurre a lesioni da difesa, prodotte cioè nel tentativo della vittima di ripararsi dai colpi” come si legge nel referto dell’autopsia.
«Potevano l’educatore e l’eventuale personale specializzato intervenire mentre il padre estraeva la pistola - si chiede l’avvocato -? O dopo che aveva sparato, mentre Federico si lamentava, mentre veniva colpito ripetutamente al torace? L’azione è durata per diversi minuti, cosa ha fatto l’educatore che avrebbe dovuto “proteggere” l’incontro. E perché non si è reso conto di trovarsi di fronte a una persona sotto l’effetto di stupefacenti». Tutte domande che ad oggi sono ancora senza risposta. Il procedimento infatti, affidato al pm Cristina Roveda di Milano, è tuttora “contro ignoti” e per questo l’avvocato ha chiesto l’intervento della procura generale. Fra pochi giorni arriverà l’esito della richiesta, a quel punto l’indagine potrebbe subire una svolta.
D. C.
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