Rubriche/StorieImmigrati
Mercoledì 12 Ottobre 2011
Janet: «Sono felice, dico davvero»
«Ho conosciuto mio marito nel centro commerciale dove facevo la spesa»
Janet è una persona solare, che ha raccontato la storia della sua vita senza smettere di sorridere. Praticamente non c’è stato bisogno di farle un’intervista vera e propria: di sua iniziativa, la protagonista delle storie di immigrati di questa settimana ha ripercorso liberamente gli ultimi anni in Senegal e i primi in Italia, fino a potarci alla sua verità.Ossia che non è possibile giudicare ciò che ci accade se non quando tutto si è compiuto. Nel caso di Janet la sfortuna di non poter frequentare l’università e di avere un impiego sottopagato si è trasformata in una grande occasione: quella di costruirsi una vita in questo mondo, tanto diverso dal suo. «Sono felice – ci ha confidato scuotendo le spalle come se fosse cosa da poco –, davvero. Ho una casa, un marito, un lavoro. Mai avrei immaginato tante cose belle anche solo otto anni fa. Ci sono moltissime sorprese che ci attendono; basta essere ottimisti e tutto va per il meglio. Io ci credo».
Ciao, come ti chiami?«Janet, mi chiamo Janet. Perché me lo chiedi?».
Per conoscerti e perché mi farebbe piacere raccontare la tua storia. Ti va?«Ci dovrei pensare un attimo. Non so. Ma sì, dai, va bene. Cos’ho da perdere?».
Decisamente niente, credimi.«Allora va bene, ti racconto la mia storia. Da dove incomincio?».
Da dove preferisci.«Dall’inizio, allora. Vengo dal Senegal, ho trentadue anni e mi trovo in Italia da sei. Prima di partire vivevo con la mia famiglia: mia mamma, le mie due sorelle, mio padre e mio fratello».
Tutti a casa dei tuoi genitori?«Sì. Io sono la più grande, nonché la prima a essersene andata. Mio fratello è il più piccolo e sta ancora con i miei. Per quanto riguarda le mie sorelle, sono uscite di casa poco dopo di me, ma per sposarsi e mettere su famiglia, non per emigrare. Io sono l’unica ad aver lasciato il Senegal».
Ti dispiace?«Vuoi scherzare? Se potessi tornare indietro probabilmente partirei anche prima. Ma dammi tempo che ti racconto».
Certo, sono qui per questo.«Ti stavo dicendo che prima di partire vivevo con la mia famiglia, ma ero un po’ triste. Certo non per il rapporto con i miei».
Perché, allora?«Perché non avevo i soldi per continuare gli studi e perché non riuscivo a trovare un lavoro decente. Hai presente quando ti sembra totalmente inutile ciò che stai facendo? Come se ti trovassi in un vicolo cieco? Ecco, io avevo quella sensazione: non potevo andare né in una direzione né nell’altra. Me ne stavo ferma nel mezzo del niente».
Volevi frequentare l’università?«Era il mio sogno. Volevo studiare economia, laurearmi, lavorare in qualche grande azienda e portare a casa uno stipendio non dico prestigioso, ma almeno dignitoso. Sentivo di avere le potenzialità per combinare qualcosa di buono. Anche i miei genitori e i miei fratelli credevano in me».
E invece?«Invece senza soldi nel mio Paese non vai da nessuna parte, figuriamoci all’università. E con un diploma e nessuna conoscenza non puoi sperare in niente di meglio. Così mi barcamenavo in un bar vicino a casa. Ma a fine settimana la paga era davvero deludente. Avevo una sola certezza: i soldi non bastavano, nemmeno mi fossi accontentata della mera sopravvivenza».
Come ti è venuta l’idea di emigrare?«Per scherzo, un sabato sera. Stavo chiudendo il bar e un’amica mi aspettava al tavolino. “Sai, Janet, cosa facciamo? – mi domanda quasi senza pensarci – Emigriamo, ce ne andiamo in Europa. Secondo me non c’è altra scelta”. In quel preciso istante una vocina dentro di me ripeteva: “Ha ragione, ha ragione”. Anche la mia amica non aveva conoscenze e faceva la commessa in un negozio per pochi spiccioli. Nel giro di tre secondi ero seduta al tavolo con lei; avevo mille domande da farle: “Va bene, ma dove andiamo? Chi conosci? Che lavoro cerchiamo? Come ci sistemiamo? E quando partiamo?”. Ero un fiume in piena».
La tua amica aveva tutte le risposte?«Macché, non ne aveva nemmeno una. La sua era stata una boutade, non pensava davvero di emigrare. Voleva fare quella che se ne intende del mondo, con aria seria e concentrata. Ma in realtà stava scherzando».
Tu no, però.«Quella frase per me è stata l’illuminazione. Dimmi tu, cosa avevo da perdere?».
Niente?«Perché non sei convinta? Davvero non avevo niente da perdere».
E i soldi per emigrare?«Avevo intenzione di farmeli prestare».
Ecco cosa avevi da perdere, dunque.«Ma sapevo di poterli restituire rapidamente lavorando sodo qui».
Mai neanche un dubbio?«Mai, con i dubbi non si va da nessuna parte, ricordatelo sempre. Io avevo intenzione di fare tutto per bene: venire in Italia regolarmente, trovare un lavoro, mettere da parte qualche risparmio e tornare in patria, dove aprire una caffetteria tutta mia, visto che ormai il mestiere l’avevo imparato. È andata anche meglio. Ma procediamo con ordine».
Vai, continua.«Dicevo che non avevo dubbi, dovevo solo organizzarmi per partire. Prima cosa i documenti: una trafila infernale, che non mi ha neanche soddisfatta, visto che poi ho quasi rischiato di diventare irregolare. Seconda cosa i soldi: assicurati da una signora che da noi è abbastanza famosa per i prestiti. Ovviamente a “tassi interessanti”, ti dico con ironia. Terza cosa il viaggio, ma qui il peggio era passato, dopo l’incubo delle prima due priorità».
Dove sei arrivata?«Il volo atterrava a Milano, perché la mia amica, che non ha mai lasciato il Senegal tanto era convinta della sua brillante idea, conosceva una signora il cui figlio si trovava nel Lodigiano. Morale della favola, andavo a casa di un tizio mai visto che per fortuna si è rivelato una brava persona. Non che io dubiti dei miei fratelli, ma ne ho sentite di cotte e di crude, da quando sono qui, per cui ringrazio di cuore il figlio dell’amica della mia amica».
Ti ha ospitata?«Sì, nella casa in cui abitavano anche la moglie e la figlia di poche settimane, una bambina bellissima. La moglie aveva dovuto interrompere il lavoro in fabbrica per via della nascita della bambina, io ero alla ricerca di un posto qualsiasi. Miracolosamente, domanda e offerta si sono incontrate».
L’hai sostituita?«Sì, e la sto sostituendo tutt’ora perché lei ha deciso di stare a casa e occuparsi a tempo pieno della bambina. Quindi, eccomi qui. Ma l’Italia mi ha portato fortuna anche su un altro fronte».
Quale?«Quello familiare: mi sono sposata con un uomo italiano».
Come l’hai conosciuto?«Lavora nel centro commerciale in cui solitamente andavo a fare la spesa. Ci siamo conosciuti così, per caso, e siccome il mio permesso di soggiorno scadeva, ci siamo sposati. Magari abbiamo bruciato un po’ i tempi, vista la fretta, ma stiamo molto bene insieme».
È una storia molto serena la tua.«Tutto dipende da come vivi le cose. Partire è un grande cambiamento: se guardi avanti, cogli il meglio; se invece ti volti indietro, verso le persone che hai lasciato, inevitabilmente soffri e fallisci. Pensa a me: era positivo che non avessi i soldi per frequentare l’università? Apparentemente no. Era positivo che non avessi un lavoro decente? Apparentemente no. E invece eccomi qui, proprio per quegli eventi che io consideravo sfortunati. Sono felice, dico davvero. E alle fine è questo che conta».
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