Bisognerebbe conoscerla, Cornelia, per capirla meglio. È una donna dai contrasti forti: un’immagine dura con una grande dolcezza interiore, tanto grande da diventare percepibile anche in pochi minuti di conversazione; una vita travagliata, ma una profonda sensazione di quiete, che “avvolge” chi l’ascolta.Cinquantacinque anni, rumena, badante in Italia, ha intrecciato il racconto della sua storia con quello della vita dei suoi figli. Un quadro forte, dai colori e i profumi lontani.
Allora, Cornelia, se è d’accordo procediamo. Andiamo con ordine: cosa faceva prima di partire?«Per ventisei anni ho fatto la magazziniera presso una ditta che produceva automobili. Anche mio marito lavorava per la stessa azienda, ma come funzionario. Purtroppo da nove anni non c’è più, sono vedova».
Figli?«Due, una femmina e un maschio. La maggiore ha trentatré anni e vive in Giappone».
In Giappone?«La vita è strana, strana davvero. Ha conosciuto il marito, giapponese, a Bucarest, dove faceva la traduttrice. Quando si parla di “incontri casuali che cambiano la vita” penso ci si riferisca a storie come questa. Insomma, i due si innamorano e vanno a vivere in Giappone. Poteva andare tutto bene, e invece ecco un’altra sorpresa del destino, stavolta infausta: durante il parto, avvenuto in Giappone, il forcipe non viene usato correttamente e mia nipote subisce danni irreversibili. Ancora oggi è su una sedia a rotelle e probabilmente non camminerà mai. Mai da sola, almeno, visto che aggrappata a un tavolo o a superfici stabili un po’ riesce. Un duro colpo per mia figlia».
Mi dispiace. Ha altri nipoti?«Sì, da parte sia di mia figlia che di mio figlio, entrambi di tre anni, entrambi sanissimi».
Restiamo a sua figlia. Lavora?«No, si occupa dei bambini a tempo pieno. In compenso lavora molto il marito. Non hanno problemi economici, considerato che lui è un imprenditore edile da generazioni. Ma non per questo io non li aiuto».
Come?«Spedisco periodicamente un bel pacco di venti chili pieno di ogni ben di dio. Il cibo italiano è costosissimo in Giappone, quindi provvedo io dall’Italia».
E cosa ci mette dentro?«Il Grana Padano, le caramelle di gelatina e quelle di cioccolato per i nipotini, il cappuccino solubile, anche il caffè d’orzo che piace tanto a mia figlia, e poi il salame quello buono, e i funghi porcini secchi in piccoli pacchettini».
C’è tanta dolcezza in questo gesto...«Alle poste mi conoscono. Quando mi vedono con il mio paccone di venti chili mi dicono: “Ecco la signora che spedisce in Giappone”. Mia figlia mi ripete di non averne bisogno, ma a me fa piacere inviarle tutta quella roba buona. Sono la mamma e la nonna, no? Anche mio genero apprezza molto: si mette davanti alla webcam, unisce le mani e si inchina per ringraziarmi. Io non capisco nulla, ma sento che è una persona cordiale, un uomo per bene».
Lei è mai stata in Giappone?«Mai. Sono stati mia figlia e tutta la sua famiglia a venire in Romania, l’anno scorso, per via del terremoto. Quanta paura. Si sono fermati cinque mesi e io ero contentissima di ospitarli a casa mia. L’unica amarezza riguarda mia nipotina».
E cosa ci racconta di suo figlio?«Se penso a mio figlio mi viene da piangere».
Come mai?«A giugno parte per la terza volta e va in Afghanistan con la Nato. Si ferma sei mesi. Sei mesi che per me saranno interminabili, come le scorse tre volte».
È un militare?«È ufficiale nell’armata rumena. Ha potuto studiare, si è laureato, ma alla fine ha scelto la carriera militare e io non posso dire nulla, considerato che ormai ha ventinove anni ed è un uomo. L’unica cosa è cercare di stare tranquilla, per quanto possibile. Ogni volta che dei militari vengono uccisi, italiano o rumeni o di qualunque altra parte del mondo, mi sento malissimo. Piango anche se non li conosco».
Si identifica con le famiglie, giusto?«Esattamente, e soffro con loro. Lui è felice così, chi gli sta intorno un po’ meno. Ma questa è la vita che ha scelto».
In fondo i suoi figli stanno tutti bene, nel senso che hanno un lavoro stabile, una famiglia, una certa solidità economica. Allora perché lei si trova qui in Italia?«Perché sono vedova e con centocinquanta euro al mese di pensione non avrei potuto immaginare una vecchiaia serena. Ho voluto in primo luogo sistemare la mia casa, poi mettere da parte un po’ di soldi per il futuro, quindi dare una mano ai miei figli, perché un aiuto non guasta mai e infine, se tutto va bene, lasciare anche una piccola eredità. In questo modo sono pronta ad affrontare la vecchiaia da sola e serenamente, anche se mia figlia continua a ripetermi: “Mamma, guarda che non ti lascio sola, quando diventerai vecchia sarò lì con te”».
Perché l’Italia?«Perché c’era mia cognata, perché ho lavorato per un’azienda italiana prima di partire e perché tutti mi dicevano che l’Italia è bellissima».
Ed è così?«Certo che è così, qui mi piace. Solo all’inizio ho avuto qualche difficoltà».
Di che tipo?«Non sapevo dove andare a dormire e allora mia cognata mi ospitava a casa del signore che assisteva. Solo che lui non lo sapeva. Quindi entravo in casa alle undici di sera e uscivo il mattino alle sette».
Spero fosse estate.«No, era ottobre. Bevevo una cosa al bar, mi sedevo su una panchina con il libro di grammatica italiana, ma fino alle undici la giornata era lunghissima, credimi. Poi sono arrivate le piogge e non ce l’ho fatta più. Per fortuna che c’è la Casa dell’Accoglienza Rosa Gattorno. Mi hanno ospitata, aiutata con l’italiano e inserita nel mondo del lavoro. Sono tre anni che seguo la stessa signora. Ci siamo trovate benissimo, ma non dimentico la Casa. Non riuscirò mai a ringraziare abbastanza le suore e i volontari. Comunque, le mie due ore al giorno libere le trascorro qui».
Per quanto tempo si vuole fermare in Italia?«Considerato che il lavoro mi piace, che il contesto è perfetto e che mi sono trovata bene, almeno fino a sessant’anni».
Altri cinque?«Sì, altri cinque anni. Devo solo migliorare la mia conoscenza del computer. Mio figlio mi dice spesso: “Mamma, prima di partire ti spiego come fare, così la mezz’ora di conversazione che ho a disposizione posso dedicarla in parte a te e in parte a mia moglie”. Ma io ancora ci capisco poco di quelle macchine incomprensibili. E sì che sono eccezionali: si accende il video e mio figlio nel mezzo del niente in Afghanistan è lì davanti a me che mi parla, idem per mia figlia che vive dall’altra parte del mondo».
Verissimo. Il mondo è più piccolo con le tecnologie.«Prometto che ce la metto tutta».
Ha un sogno nel cassetto?«Mi viene da ridere».
Lo dica, senza timori.«Vorrei andare a trovare mia figlia almeno una volta. Sono curiosa di vedere dove abita e come si vive in Giappone. Allora, quest’estate no perché mio figlio è in Afghanistan e, la prossima nemmeno perché devo lavorare, quella successiva va bene. Deciso: fra tre anni vado in Giappone».Brava. E grazie per il suo tempo e la sua disponibilità.
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