Rubriche/StorieImmigrati
Mercoledì 08 Maggio 2013
«Ho voluto in Italia anche i miei due figli, sono più tranquilla»
Emilia lavora da tre anni in una panetteria del Lodigiano, dove si distingue per i modi gentili e una certa “leggerezza” nei movimenti, che la rendono particolarmente affabile. Non è una di quelle donne che verrebbero definite belle, tuttavia il suo sguardo, deciso e profondo, ha un non so che di magnetico.Emigrata per aiutare la famiglia, Emilia si trova da sola in Italia con i due figli, visto che il marito ha preferito trattenersi in Romania con la nuova compagna. Lei, dopo mille scherzi del destino, non ha dato peso a quest’ultimo: ha fatto le valigie per i ragazzi e si è trovata un nuovo lavoro, che le permette di vivere una vita più che decorosa.La nostra protagonista ha un solo sogno per il futuro: che i suoi figli non debbano mai incontrare, come invece a lei è accaduto, l’ombra nera della depressione.Approfitto del fatto che state chiudendo: posso aspettarti e chiederti di raccontarmi la tua storia?«Scusami, ma devo tornare a casa al volo. Non posso perdere il pullman, altrimenti il successivo è dopo più di mezz’ora».Se me lo concedi ti accompagno alla fermata, intanto chiacchieriamo.«Va bene, d’accordo. Aspetta solo un attimo che mi tolgo la divisa e arrivo. Oggi fortunatamente chiudiamo puntuali».Allora, ho sentito dall’accento che sei straniera, dell’est.«Esattamente. Sono rumena, come la altre tre mie colleghe qui in panetteria. A parte la titolare, siamo tutte straniere. Ci troviamo bene, fra di noi non parliamo nemmeno l’italiano. Con i clienti, invece, è tutta un’altra storia».Da quanto tempo lavori qui?«Tre anni ad agosto. Prima facevo tutt’altro, ero una badante. Poi però ho pensato di far venire qui la mia famiglia, ossia mio marito e i miei due figli. Avevo bisogno di più tempo per loro, volevo stare a casa almeno la notte, così mi sono rivolta a una connazionale che mi ha trovato questo posto. Non è male, per niente».In tutto da quanto tempo vivi in Italia?«È da molto tempo che “giro intorno” all’Italia. All’inizio come ti accennavo facevo la badante: lavoravo per parecchi mesi poi, quando le persone che seguivo venivano ricoverate o ci lasciavano, tornavo in patria. Aventi e indietro, facevo la spola tra l’Italia e la Romania per non perdere i rapporti con la famiglia. I primi tempi lavoravo in nero, poi mi sono accorta che sempre meno gente si fida».In che senso?«Hanno paura che qualcuna di noi si rivolga alla Finanza, temono i controlli o le multe. Insomma, piuttosto le famiglie si svenano, ma preferiscono assumere regolarmente. Per me è stata una fortuna: un lavoro in regola significa più tempo libero, più garanzie e soprattutto la possibilità di dimostrare di essere qui a lavorare. È stata la mia prima assunzione a farmi pensare: “Emilia, prima o poi puoi far venire qui i ragazzi”. Prima era un sogno proibito».Quanti anni hanno?«Adesso il maschio ne ha quindici, mentre la bambina ne ha dodici. Sono arrivati in Italia l’anno scorso».Accennavi al fatto che avresti voluto far venire in Italia anche tuo marito.«Sì, ma lui è un tipo da lasciare perdere. Preferisco non parlarne».Cosa è successo? Almeno questo puoi dirlo?«Quando gli ho proposto di trasferirsi ha iniziato a fare il vago: “Avrei un lavoro qui da finire”, “E poi cosa faccio”, “E se non mi trovo bene sono solo un peso”. Tutte frottole: aveva una relazione in Romania e ha preferito restare in patria, con la sua bella, che mi dicono avere dieci anni meno di lui. Io ho smesso di inviargli denaro e i miei figli ora sono qui con me. Sono loro la mia famiglia, mio marito per me è storia».I ragazzi vanno a scuola?«Entrambi, e devo dire che nonostante le difficoltà iniziali ora se la cavano bene. Erano in gamba già quando frequentavano la scuola in Romania. Ricordo che avevano preso parecchio male la mia proposta di emigrare. Dicevano che i loro amici erano in Romania, che là c’erano i loro nonni, che l’Italia sarebbe stata per loro una vera tristezza, poi però si sono ricreduti, me ne sono accorta fin da subito. Sono arrivati alla fine di agosto».Da soli?«No, io ero rientrata a casa per le vacanze estive: siamo ripartiti insieme. Guardavano fuori dal finestrino con gli occhi sbarrati: “Mamma guarda questo”, “Mamma guarda quello”, “Ma è tutto così, qui?”. Erano entusiasti. Poi però con l’inizio della scuola l’entusiasmo si era trasformato in timore, soprattutto per via della lingua. Ora non hanno più problemi».Tu cosa facevi prima di partire?«Lavoravo come operaia in catena di montaggio in un’azienda che tratta carne bovina. Non tornerei indietro per nulla al mondo».E tuo marito?«Anche lui era operaio, ma in un’altra ditta. Mio marito non ha mai perso il lavoro, io invece sì, poco prima di emigrare. Mi hanno lasciata a casa praticamente dal giorno alla notte, senza lo straccio di un preavviso. Confesso di avere incassato male il colpo: se fino a quel momento potevamo sopravvivere, in quattro con uno stipendio era la fine. Ma, dopo qualche mese di depressione vera, un giorno mi sono come “risvegliata” e ho preso in mano la mia vita».Perché proprio l’Italia?«Perché tantissime connazionali vivevano qui e si erano trovate bene. Non sono stata a pormi troppe domande, ho seguito il consiglio di un’amica e sono partita, senza la minima idea di cosa avrei fatto e di dove sarei andata. Poi tutto, lentamente, si è appianato».Come?«Con il primo lavoro da badante, quindi una casa in cui vivere, poi con la consapevolezza di poter guadagnare molto in poco tempo, e quindi cambiare le sorti della mia famiglia. Questo mi ha spronata a darmi da fare, non demordere mai e soprattutto non temere per il futuro. Eccomi qui».A proposito di futuro, hai qualche progetto in particolare?«Da quando lavoro, torno a casa – intendo dire in patria – una volta all’anno con i miei figli, perché possano restare in contatto con la loro famiglia e le loro origini. È una scelta che ha un certo peso economico, ma che ritengo importantissima. Non sopporto l’idea di averli sradicati, anche se qui si trovano bene. Quindi per il futuro vorrei poter continuare a lavorare onestamente e a tornare in patria per l’estate. È una priorità. Ma soprattutto vorrei che i miei figli finissero brillantemente le scuole e trovassero un lavoro come si deve».Sei proiettata molto nel futuro, a quanto dici.«Non voglio più patire la fame o avere paura, per me o per i ragazzi. Non so se mi spiego. Io l’ho vista brutta e ho trovato quasi miracolosamente la forza di andare avanti. Cosa sarebbe accaduto se non mi fossi rialzata? A questo punto non voglio che i miei figli cadano, voglio solo il meglio per loro, anche se meglio nel mio caso significa sacrificio, tanto sacrificio».Sei in gamba.«Grazie. Io, piuttosto, penso di essere stata una disperata che è riuscita a trovare una via».E non è questo, essere in gamba?
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