Venti mesi senza una parola di scuse, ma quanto vale la vita di un ragazzo?

Mercoledì 22 gennaio c’è stata l’udienza di primo grado a carico dell’assassino di mio figlio Sebastiano. Assassino, è così che va chiamato, perché ha investito un ragazzo provocandone la morte a causa del suo comportamento scellerato alla guida. Il neopatentato S.C. non doveva attraversare a piena velocità l’incrocio, transitando dalla corsia riservata alla svolta a sinistra, in quanto avrebbe dovuto trovarsi in fondo alla fila delle auto che stavano aspettando che il semaforo passasse da rosso a verde. Oltre a tutte le altre norme stradali infrante. Ecco, dopo tutto il campionario di perfetta condotta stradale, ha casualmente investito e ammazzato un ostacolo sulla sua strada. E dopo due anni e tre mesi dalla morte di Sebastiano è stato condannato per omicidio colposo. La pena inflitta è stata di un anno e otto mesi e due anni di sospensione della patente. Ma ci rendiamo conto? Venti mesi, non un giorno di pena da scontare, nemmeno ai servizi sociali, ma che esempio può essere per nostra società? E’ questo quello che può valere la vita di un ragazzo? Venti mesi, non un giorno di riabilitazione verso la ‘comunità’, non una parola di scuse, e tanti saluti. E magari farà anche ricorso.Siamo profondamente indignati. Speravamo di avere a che fare con la ‘Giustizia’, ma i fatti dicono altro. I fatti raccontano di persone incarcerate per reati ‘minori’ e di pene irrisorie per chi ammazza alla guida. Chiediamo subito il reato di omicidio stradale.

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