La vicenda “Villa Bianchi”, che io continuo, per abitudine o in memoria del tempo che fu, a chiamare Villa Grignani, sta coinvolgendo e interessando, non solo addetti ai lavori, esperti, diretti interessati e amministratori, ma numerosi semplici cittadini. Semplici, nel senso di “solo” cittadini, non indifferenti alle sorti della villa degradata, deturpata, apparentemente abbandonata ma “di valore”, come la tutela paesistica comunale, introdotta nel Piano Regolatore del 2004, sta a dimostrare.
Sono una dei molti firmatari dell’appello, diffuso da qualche settimana, intitolato “Salviamo Villa Bianchi” e credo dunque che la mia posizione, rispetto all’intervento fin qui ipotizzato, consistente nel ripristino/riqualificazione della villa legato, inscindibilmente, alla costruzione di una palazzina adiacente di quattro piani e di box privati sotterranei, non sia un mistero. Sono contraria.
Ho preso parte, qualche giorno fa, insieme a numerosi altri, alla seduta della commissione paesistica comunale aperta alla cittadinanza nel corso della quale l’architetto Palavezzati, incaricato dalla nuova proprietà della progettazione dell’intervento complessivo, ha illustrato le caratteristiche di “quello che sarà” e ha offerto l’occasione, a tutti i presenti, di esprimere perplessità - molte - timori, auspici e di porre domande sull’“oggetto del contendere”. Perché un “oggetto del contendere” c’è, seppur quella della commissione paesistica non era forse la sede più appropriata per poterlo sviscerare o addirittura risolvere, essendo la sua competenza limitata all’intervento di ristrutturazione della villa e non all’operazione immobiliare complessiva.
Per quanto io tema che “i giochi” siano già fatti e il destino della villa segnato - a meno che qualche modifica sostanziale non intervenga sulla palazzina che altrimenti la soffocherà, pur nella dichiarata leggerezza della sua struttura - voglio continuare a credere che questa occasione di confronto sul merito, “offerta” dall’ amministrazione comunale, non sia stata solo un formalismo non dovuto, ma un reale cambiamento di rotta nelle modalità con cui l’intera vicenda è stata finora condotta.
Spesso, e spesso a sproposito, di partecipazione e di “cittadinanza attiva” si parla salvo poi non sapere, nel concreto, che farsene. Qualche volta si declina la partecipazione in termini di comunicazione del già fatto e del già deciso, qualche altra la si confina nel recinto della consultazione che non impegna nessuno, altre ancora la si sollecita per aspetti del tutto marginali o irrilevanti.
Non semplice da disegnare è il ruolo della partecipazione - chi partecipa? A che titolo? Con quale competenza? In quale rapporto con chi detiene la responsabilità e il potere della decisione stessa? - e ancora più difficile, per chi amministra, la mediazione tra opinioni e contributi tra loro in conflitto e in conflitto con il posizionamento di chi rappresenta le istituzioni, però tutto questo non è sufficiente per fare del partecipare uno slogan svuotato di significato nell’agire quotidiano e di fronte al quale reagire con insofferenza e fastidio.
Se in questa vicenda, come l’apertura al pubblico della commissione paesistica ha dimostrato, esiste una difficoltà di “approvazione”, da parte di una fetta di opinione pubblica cittadina, dell’operazione immobiliare sull’area di Villa Bianchi - operazione del tutto legittima dal punto di vista formale, essendo intervenuta una variante di destinazione d’uso dell’area con l’approvazione del PGT che autorizza la costruzione della palazzina - e se, allo stato attuale, pare possano essere ridiscussi alcuni aspetti non secondari, quali il posizionamento stesso della palazzina attraverso uno scambio di aree edificabili, mi domando se, l’amministrazione, non avrebbe potuto agire, fin dall’inizio, in maniera differente, almeno nel metodo. Partecipare spesso significa sollevare perplessità o manifestare vere e proprie critiche, avanzare dubbi o problematicità senza che ciò nasconda un fine che non sia il tentare di portare il proprio contributo nella speranza - o nella presunzione - che si possa fare meglio. Nell’interesse di tutti.
E, allora, nell’interesse di tutti, perché non cercare di ripartire senza dare nulla per scontato o per definitivamente deciso? Perché discutere del “dove collocare la palazzina” (per renderla il meno impattante possibile rispetto alla villa) e non del “è proprio necessaria la palazzina”?
Lo stesso PGT, strumento complesso di governo del territorio, può essere variato con delibera del consiglio comunale e non gode della caratteristica dell’immodificabilità. Certo, si tratta di ripensare in modo differente al valore e al destino della villa, all’opzione della richiesta di tutela da avanzare alla Sovraintendenza delle Belle Arti per la salvaguardia di un patrimonio architettonico di cui Lodi si è troppo a lungo dimenticata, si tratta di valutare la reale fattibilità di alternative percorribili, in modo condiviso e trasparente, di dare spazio alle competenze che si mettono a disposizione e di lavorare insieme per il “bene comune”.
Non mi pare che ciò sia sperare troppo, piuttosto sperare il meglio.
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