Rubriche/Cascine
Domenica 20 Marzo 2011
La costanza della “mondina” Oliviera
Alla cascina Ospitala di Cornegliano la casa di una donna forte
Una volta, quando non si andava così di fretta, capitava di conoscere una persona e di provare istantaneamente la convinzione di averla da sempre frequentata. Ho provato questa bellissima sensazione incontrando la signora Oliviera Carinelli della cascina Ospitala di Cornegliano Laudense. È una donna che colpisce per la sua forza interiore e per la costanza che ha sempre avuto nella sua vita, scandita da ritmi uguali, essenziali, ispirati da una straordinaria femminilità, valorizzata nel suo ruolo di moglie, poi di madre, e persino di custode dei vitellini della corte, dalla loro nascita ai primi tre mesi.
Una vita in risaia
La signora Oliviera, che ha sulle spalle settantotto primavere, ha trascorso la sua esistenza sempre in prima fila, non sottraendosi mai davanti alle proprie incombenze. Ed ora che qualche diritto al riposo lo meriterebbe non vuole sentirne di rallentare il proprio impegno: mattina e pomeriggio continua a recarsi in stalla e a dare da bere, con un biberon di tre litri, ai vitellini. Un lavoro lento e faticoso, dove la prima dote è la pazienza, e che lei svolge con delicata passione per i suoi piccoli animali. Ogni anno nascono in cascina 150 vitellini. Durante i primi cinque giorni di vita occorre dare loro da bere manualmente; poi passano in un’altra parte della stalla e si dissetano autonomamente. Ma la signora Oliviera vigila che lo svezzamento proceda senza intoppi. È questa sua attenzione che mi commuove e mi entra sin dentro il cuore. Le osservo le mani: nodose, energiche, le rughe sembrano aver provato ad attorcigliarle i tendini, ma inutilmente, perché la sua presa è rimasta forte, senza esitazioni. Così, prima di conoscere le sorti della cascina Ospitala, mi lascio conquistare dai racconti di questa anziana signora, che ha negli occhi tutto il fascino della propria indole e del suo schietto carattere. La signora Oliviera Carinelli è nata a Lodi: il padre faceva l’autista di pullman e la sua mamma era bidella alle scuole elementari di San Gualtiero. Le sue prime esperienze nel mondo agricolo le cominciò appena quattordicenne, quando andava sulla Lomellina come mondina: si partiva ai primi di maggio e si stava fuori un paio di mesi. L’impegno era faticoso e le relazioni, tra donne, non sempre facili. Si dormiva in quaranta o in sessanta all’interno dei caseggiati rurali, per lo più nei fienili e negli essiccatoi, ambienti attrezzati per l’occasione ad enormi stanzoni; sulle brande venivano posti materassi alla buona: sacchi al cui interno vi era il cartoccio delle pannocchie. Le discussioni avvenivano normalmente per le sincronie che doveva mantenere il singolo gruppetto di lavoro: davanti a tutte stava la “capa mondina” e dietro le altre donne, ma ciascuna di esse, nel mondare le piantine di riso, doveva fare i propri movimenti rispettando quelli delle altre e nei tempi prestabiliti. I canti, durante il lavoro, sedavano le polemiche. Si cantava anche per fare trascorrere il tempo, per darsi forza e non soccombere alla stanchezza. La paga, in definitiva, non ricompensava di tutta quella fatica: i proprietari oltre ad una modesta somma di denaro, concedevano un chilo di riso al giorno, un piatto di minestra alla sera ed un pezzetto di formaggio, di cui Oliviera ricorda ancora il colore giallo: si diceva che proveniva dall’America.
L’incontro “fatale”
Dopo una giornata di lavoro, la sera si rientrava in cascina stanchissime, eppure, grazie alla gioventù, bastava darsi una rinfrescata per poi cominciare i balli sull’aia: erano gli uomini ad organizzare queste festicciole; c’era chi suonava la fisarmonica e chi la chitarra; l’arrivo delle mondine era per gli scapoli una vera fortuna: molti uomini, con tante donne che si trovavano per un paio di mesi in quei luoghi, speravano di trovare la propria fidanzata e possibilmente di accasarsi. Accade anche a lei, durante una di quelle permanenze trascorse a mondare il riso, di trovare un corteggiatore, che divenne suo marito: il compianto Egidio Orsini. Egli era agricoltore alla cascina Belvedere di Cornegliano Laudense. Uomo tutto d’un pezzo, fra le sue qualità vi era quella di avere il senso dell’amicizia. Così, ad un suo amico che insisteva affinchè lo accompagnasse a Mede Lomellina, dove quest’ultimo poteva incontrare la propria moglie, non si sentì di opporre un sonnacchioso rifiuto: insieme partirono per la corte pavese che ospitava le mondine lodigiane. Casualità volle che questa donna, per cui s’era organizzata la spedizione, fosse amica di Oliviera. Così mentre il suo amico amoreggiava con la propria moglie, Egidio Orsini cominciò a conversare con Oliviera; pur essendo un bell’uomo, Egidio puntò tutto sulla chiacchiera: era, infatti, un grandissimo affabulatore, un conversatore eccezionale, uno capace di far credere come vera e reale anche la cosa più fantasiosa ed impossibile. La signora Oliviera non ci mise che pochi attimi a capitolare a quel fascino. Si sposarono nel 1960.
Alla Belvedere
Da quella data per i successivi ventiquattro anni, gli Orsini vissero alla cascina Belvedere dove Egidio era conduttore dell’azienda agricola insieme al padre e ad un fratello. Poi nel 1984, presero in conduzione anche la corte Ospitala, a quel tempo proprietà dell’Ospedale Maggiore di Lodi. Questa possessione fu poi acquistata dagli Orsini nel 1995. Oliviera si ambientò immediatamente in cascina. Quando era ragazzina, a Lodi, capitava che i genitori la mandassero dai fittavoli vicini affinchè, lavorando nei campi, raggranellasse qualche soldo, utile alle esigenze di una famiglia numerosa. Alla cascina Belvedere, perciò, Oliviera divenne il vanto non solo del marito ma anche del suocero, che era il patriarca della famiglia: perché, pur incinta di otto mesi, ogni giorno era nei campi a rastrellare il fieno e ad issarlo sui carri. Tenace di carattere, cedeva soltanto al marito, che era ancora più forte di lei: l’ultima parola, infatti, nelle scelte dell’azienda agricola, spettava soltanto al marito. Gli Orsini ebbero alle proprie dipendenze alcuni fidati collaboratori: fra questi i mungitori Piero Severgnini e Angelo Boldriga; successivamente subentrò Gesuino Pilotto. Nessuno di loro viveva in cascina: erano pendolari. Severgnini arrivava dalla Muzza a bordo di un ciclomotore, e poiché durante le albe dell’inverno c’erano nebbie micidiali aveva dipinto di giallo alcuni pali della luce, posti sul bordo della strada: al terzo sapeva di dover girare a sinistra per raggiungere la cascina.
Figli ed eredi
Egidio ed Oliviera Orsini hanno avuto due figli maschi: Eugenio e Domenico; entrambi hanno scelto di proseguire il lavoro paterno. Per Domenico la scelta è stata naturale: a sei anni era già a guidare i trattori, a scuola le maestre facevano fatica a tenerlo buono al banco perché lui regolava gli orari secondo le attività che in quel momento si svolgevano in cascina e non vedeva l’ora di svignarsela per andare ad aiutare il padre. Eugenio, invece, all’agricoltura è arrivato in modo più tortuoso: aveva frequentato l’Università nella facoltà di ingegneria e forse pensava di intraprendere un percorso diverso. Ma poi è arrivato il richiamo come una vocazione tardiva, ed allora si è gettato a capofitto sul lavoro agricolo, recuperando il tempo che aveva perduto. Eugenio e Domenico Orsini sono molto legati alla madre. Costituiscono un nucleo famigliare che mi ha richiamato i lavori delle mondine: la sincronia è il primo valore. Ciascuno di loro sa cosa fare e quando. E se i fratelli sono interscambiabili nelle varie attività, anche se Eugenio preferisce la stalla e Domenico cura di più macchinari e tecnologie, la signora Oliviera continua ad essere un perno fondamentale all’interno dell’azienda agricola, caratterizzata da ritmi sempre molto precisi. Alle sei del mattino, ad esempio, la signora Oliviera è già in piedi: prepara la colazione per i suoi ragazzi; e subito dopo comincia la visita agli animali di corte: galline ed anatre. Poi visita i vitellini. A metà mattina sbriga le vicende amministrative, o si reca in farmacia per le medicine necessarie da somministrare agli animali. A mezzogiorno si è già in tavola: il rito del “mezzodì” era per il signor Egidio irrinunciabile e tale è rimasto per tutta la famiglia; alle tredici c’è un’ora di stacco per tutta la squadra: Eugenio si stende sul divano e ripara gli occhi dalla luce con il suo inseparabile cappellino; Domenico si rilassa su un altro divano, coprendosi con una coperta. La signora riposa su un terzo divano. È un’ora precisa di totale abbandono. Come accade in Sicilia: ma lì, nella mia terra, la pausa è più lunga, dura qualche ora. A casa Orsini il rito del riposino è irrinunciabile, Come il “mezzodì”. Alle quattordici sono tutt’e tre già operativi: i ragazzi, chi in stalla e chi sul trattore, mentre la signora Oliviera riprende il giro dei vitellini, controlla che tutti stiano bene, si sofferma su quello che appartenente necessita di maggiori attenzioni. E così la vita alla cascina Ospitala di Cornegliano Laudense riprende i propri ritmi, sempre uguali, sempre cadenzati in un ritmo che non conosce differenze, e che fa l’occhialino al futuro.
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